Tecnica e cultura – Parte IV – Tecnica e futuro

Tecnica e futuro

29. La necessità di una una nuova visione del mondo

Nei suoi primordi, la tecnica fu promotrice della vita per­sonale e pertanto delle aspirazioni dell’uomo. Nella sua pie­nez­za, è ancora un ausilio dell’esistenza singola, ma culturalmente e cosmicamente è diventata la più grande rovina.

Come deve continuare…?

Un ritorno? – Ritorno è sempre una via verso il caos. Avanti dunque! Ma avanti vuol dire: su!

Dobbiamo abi­tuar­ci, superando il punto di vista ani­ma­les­co degli affamati, innalzarci sulla via creativa, gioiosa e bella per umanità. Tutto quanto raggiunto dalla tecnica e quanto sarà ancora in grado di fare –, alimenti artificiali, sfruttamento delle forza inte­ra­to­mi­ca,1 navigazione aerea – lo dobbiamo imparare a considerarlo quale materia prima di una formazione futura. Nom dobbiamo considerarci all’arrivo, ma piuttosto all’inizio di tutte le cose terrene. Dobbiamo renderci conto che quanto riteniamo essere libertà moderna, è autenticamnete Medioevale ed i lodati pro­gres­si non sono che avvicinamenti al caos. Non abbiamo bi­sog­no, nella vita quotidiana, di im­me­dia­ta­mente abbandonare, vestiti, abitazione, commercio e traffico e Stato. No! Tutto ciò deve restare, se vivificante e fruttuoso. Ma dobbiamo porci un nuovo obiettivo, nulla dietro di noi, ma davanti a noi, in alto, a distanza. Per prima cosa, in­dis­pen­sa­bile e che ci potrà salvare dal diventare un formicaio, è una nuova visione del mondo, beninteso: visione e percepire, non chiacchiere. Ma percepire e volgere lo sguardo possono non possono essere che del singolo, ognuno a titolo personale. Visione del mondo non altro che un posizionarsi personale di fronte al mondo, simile nel simile, diverso nella diversità, ma insomma un mondo così ricco e variato come la natura, un meravglioso cosmos di individualità, contedentosi, ma pronte a diventare un tutt’uno. Visione del mondo che ha creato il concetto di «energie interatomique»: In questo senso, superare la massa, in quanto personalizzare vuol dire demassificare. Non esiste altra strategia per render inoffensiva la massa se non agire dall’inerno. La natura può raggiungere i propri scopi che tramite l’uomo. Spetta alla tecnica, la pratica e quella spirituale, di dare il suo apporto – il momento che tornerà al servizio della personalità. Necessario, un nuovo corso, nuovo orientamento, nuovo punto d’arrivo. La tecnica, da «sola», non ci perterà lla meta – come fanfarone Münchhausen non riuscì a tirarsi fuori da solo dallo stagno. Illusione, la speranza che la nostra cultura sia in grado «da sola» di superare il Medioevo. No! Il medioevo può semplicemente invecchiare, avvizzire. Alcune malattie dinfanzia non vengono superate in tutta la vita. Per «conto proprio», la tecnica diverràche più tiranna, in­per­so­na­le. Ma la tecnica può aiutare, diventare arma di li­be­ra­zione, nelle mani di una personlità. Follia aspettarci una evo­lu­zione spontanea della tecnica.

30. La nostra cosidetta visione del mondo

Qual’è quella che consideriamo la nostra visione del mon­do? Nell’assolutamente omogenea materia prigemia si formano – (come?)a – gli elementi chimici, dalle gigantesche scie di luminose nubi gassose, si condensano in infuocate sfere. Dagli assolutamente identici atomi degli elementi, si ritrovano in composti superiori, dalle sfere infuocate, per inerza e raff­red­da­mento, corpi celesti ruotano attorno ai resti della palla di fuoco prigemia, il loro sole. Dai composti chimici superiori – (come?)b –, le proteine e con loro la vita organica, sul nostro corpo celeste terra, la massa liquida prigemia si è progres­si­va­mente solidificata. Dagli esseri viventi, ne è seguita – (come?)c – la sequenza di tutti gli animali e vegetali, sulla superficie della terra si sono formati, oceani, montagne, correnti e pia­nure. Dal regno animale è poi – (come?)d – nato l’uomo, sulla terra, con l’attività umana, i boschi lasciarono il posto ai campi, solcati i sentieri, le correnti deviate, prosciugati mari, spostate montagne e costruite città. Questa, per l’umanità esteriore, la storia della natura.

E la storia di quella interiore? Il selvaggio uomo prigemio è un essere rozzo, afflitto da un’infantile credenza di viventi spiriti della natura. Da una sequenza di passaggi intermedi si è trasformata e sviluppata a puro credo, nella saggia previdenza delle leggi morali, e conduce una felice (?) esistenza di lavoro in Stati esemplari. Portare questa felicità ai restanti popoli extraeuropei, la sua missione. Deve vestirli, ancora così sani da poter andare nudi, dar loro armi da fuoco, se non sono in grado di uccidere con successo, insegnar loro a lavorare, affinché non si lascino andare all’ozio, inviar loro leggi e funzionari statali per evitarne l’immoralità, portar loro la Bibbia, per educarli. Lasciati dal buon Dio in uno stato di tormentato oscurantismo dell’anima senza illuminismo. L’illuminato uomo civilizzato, grazie alla sua «dignità umana» ed ai relativi diritti, risultato della propria tecnica, può, accanto a tutto ciò, disporre e gestire i tesori e le risorse della natura, le forze lavorative ed i paesi dei barbari.2 Singolarmente, ogni popolo si rappresenta davanti alla civilizzazione, la tecnica ed il mondo morale ed illuminato, quale apogeo della cultura, a fronte degli altri più o meno restati indietro o degenerati – per esempio, dal punto di vista tedesco, i Russi, i Francesi e gli Italiani, da quello italiano, i Tedeschi e gli Inglesi, da quello russo il «marcio occidente» ed i «demoni» gialli del Giappone. E nel singolo, ad ogni civilizzato si evita, grazie a stringenti leggi e pene, di diventare criminali: pertanto esercito e polizia appartengono al morale ordine mondiale.

In breve: da una assoluta uguaglianza degli atomi, dal caso, qui e là sono apparsi una enorme quantità di corpi ed esseri singoli. Ognuna di queste esistenze, assomiglia ai suoi simili e dalla massa di queste umanità, lo Stato ha creato la vita pubblica. Solamente il caso, esclusivamente contingenze esteriori – ma quali? – dati da forza e spazio, hanno portato gli atomi a diventare corpi che solamente l’asservimento allo Stato può portarre alla convivenza. Un oggetto impersonale, quale un atomo dove le forze repellenti hanno la meglio, ognio singolo individuo – positivo sarebbe una costrizione della massa che dominerebbe l’atomo e sollevasse l’uomo. Una nullità in basso e un’altra in alto – questo il mondo.

Ed i frutti di questa visione del mondo…?

In alto, la padronanza dei paragrafi statali, dei funzionari statali, dell’esercito di Stato che dovrebbero mantenere l’uomo all’altezza della civilizzazione. Ma il patriarcato e la repres­sio­ne professionale delle sue forze vive, lo indeboliscono nell’au­to­stima, nell’autoresponsabilizzazione, nell’azione e felicità. Sotto queste pressioni interne ed esterne diventa naturalmente indolente, provocatorio, nemico comune –, detto algeb­ri­ca­men­te – uno zero negativo. Dapprima risulta che che la vita del singolo ha unicamente valore se collabora all’interezza. Ma collaborare vuol dire farsi assumere quale svogliato ingra­nag­gio dello Stato o del commercio. Ridotto ad atomo dello Stato, l’individuo le cui forze agiscono che rozzamente, usurato da lavoro impersonale. I tecnici dello stato si lamentano per la crudezza, il materialismo, pessimismo, per i suicidi. Ma l’unico loro mezzo: far lavorare la macchina dello Stato con ancor più energia, più come non mai così severamente, nel pubblico e nell’educazione, predicare la propria visione di vita, la reli­gio­ne dell’impersonale e gli ideali della sottomissione – con il risultato di ancor più profondamente offendere qualsiasi ideale o religione. Negativo è solamente il nostro Stato meccanico.

Che sia la cosidetta negatività dell’uomo, se non un istinto di conservazione della personalità che, ferito, si ritira. Ris­pun­ta disperata, finalmente, contro i propri sentimenti, quando la propria esistenza vien riforgiata a colpi di imposizioni esterne. La voglia della personalità è l’opposto di uno smi­su­ra­to coas anarchico – ma invece, la creazione di se stesso accanto ed assieme al mondo circostante. Dove una personalità è smi­su­ra­ta, si ha di regola a che fare con un eccesso esteriore di crea­ti­vi­tà, una violenta integrazione e sottomissione di personalità altrui. Tale riprovevole violenza è, al suo massimo grado, quanto caratterizza lo Stato moderno, l’impersonale Stato della massa.

Riconosciamo, finalmente, la fallacia della vita del nostro Stato. La massa, quale inteterezza non è in grado, ma il singolo ha nelle proprie mani la possibilità di assolvere ad una mis­sio­ne culturale. Demassificare le folle, educatele, personalizzatele. Allora anche la tecnica può esimersi dalla tirannide – un gior­no. Oggi, domina troppo onnipresente il terreno sia come alimento che come sentimento. Cambiamenti, concreti mig­lio­ra­men­ti sono pertanto quasi impossibili – ma possono e devono, nel loro piccolo e nel singolo, aver luogo. Ognuno, nella sua cerchia limitata, dapprima in se stesso, può far germinare un nuovo mondo. Maturare e portar frutti, questa nuova vita lo potrà fare non prima che, in generazioni, il pen­siero della personalità, la visione cosmica del mag­gior­men­te personale abbiano raggiunto l’impersonale, dal singolo alla massa. Unicamente questa trasformazione e cambiamento del percepire del singolo3 potrà portare la massa ad una vita organica, differenziata e comune. Ogni innovazione necessita tempo ad affermarsi, quanto il tempo per la formazione della folla che dovrà beneficiarne. E più a lungo, quanto più pro­fon­da­mente, lo strato sensibile che dev’essere modificato. E ricreato proprio il più radicato sentimento attuale – l’im­per­so­na­le. Una introspezione chiara in queste condizioni biologiche può proteggere contro scoraggiamenti; la situzione potrà mig­lio­ra­re, ma non presto. La veramente grande educazione alla vita dell’arte, potrà avere inizio, grazie alla tecnica delle rip­ro­duzione, dopo che saranno superate le tappe di una nuova personalizzazione. Dapprima, quale primissima cosa, voi esseri umani – ostracizzate dai vostri pensieri, dai vostri discorsi, dalle votre vite, dai vostri scritti, l’illusione delle illusioni, il credere nella impersonalità.

31. Che è verità?

La nostra visione del mondo ha, eticamente, che provocato danni per il suo carattere di illogica4 speciosa, contradetto da tutta la realtà.

Come mai non siamo più in grado di vedere quanto è per­tanto chiaro e tondo? Al bambino il mondo si presenta nuovo e fresco come al primo uomo. Ma i nostri sensi confusi, in­gan­na­ti e paralizzati da un susseguirsi di circostanze quali l’influsso diretto o indiretto dello stantio spirito della massa, dai discorsi degli adulti, dal dannoso eccesso di lusso tecnico, dalla scuola, confusi dalla professione e dal pubblico. La nostra con­sa­pe­vo­lez­za è ristretta socialmente. Esclusivamente l’eterno senso infantile dell’artista sente ininterrottamente il vivo polso della natura. La tecnica ha violentato la natura asservendola all’uo­mo – come può ancora essere divina? Se il bambino sente ancora una vita personale in roccie, fiori, animali, gli si fa pres­to capire, che tutte queste cose sono inanimate, «morte». Unicamente lui stesso, con padre e madre, avrebbero un’anima ricevuta dall’unico Dio. Una immediata meccanizzazione della natura. Sebbene, secondo i comandamenti divini, fatto a sua somiglianza, ne deve paurosamente nascondere le spoglie – altro che esmpio dagli animali! Con stupore, il bambino si ade­gua nel groviglio di contraddizioni, che intuiti ma non capiti, gli permettono di prendere parte alla presenta divina del padre e della madre. Se almeno volessero agire da piccole divinità nel loro pic­co­lo mondo! Ma poi non sono che piccoli automi del pubblico spi­rito di massa, ruote che macinano anche il senso infantile della natura. Poi vagano nella vita e nei loro corpi senza spi­ri­to, anime senza occhi, e si danno al lavoro, a quanto gli è offerto, ad imitazione ed abitudine. In loro, la propria vita da lamentoso fantasma.

Pochi ne hanno la forza: credono ancora in silenzio a quan­to hanno preso in considerazione, in luogo di rifare il ver­so, senza sentirlo, a quanto la massa non sente. Poi cercano e rovistano e devono mischiare tutte le realtà, devono superare muri e barriere create da molte generazioni, per scendere all’ultimo atomo. Poi, stanchi, si arrestano. La loro personalità, dapprima risvegliata dall’azione della natura, poi intimidita, non può collaborare, esclusivamente lavorare, mec­ca­ni­ca­men­te, distruggendo forme della natura – con forza distruggendo e giungendo distrutto all’arrivo. «Tutto inutile» – la scienza giunge a concludere, per questa stanchezza di vivere.

Unicamente a chi, giunto all’inizio del mondo senza aver consunto le proprie forze, a chi riesce andar oltre agli atomi e possiede volontà creativa –, si schiude il nuovo riconoscimento meraviglioso che gli è stato tarpato da piccolo. Questo il vero valore culturale della scienza: lei, veleno per uomini deboli, solo per i forti un antidoto contro la meccanizzazione tecnica del mondo. Nel migliore dei casi, una deviazione per le vive sorgenti del mondo. Il mezzo, per il quale finiscono a migliaia, può diventare la salvezza per lo sipirito filosofico per rag­giu­ge­re, dal caos della pienezza, la semplicità unitaria del cosmo. Filosofare: pensarsi indietro con la natura, e poi così semplice ed infantile non lo è affatto, veramente! Quanto sente il bam­bino, quanto crede l’uomo della natura, quanto vede l’artista, il filosofo non può che modestamente confermarlo, al risveglio dal suo sonno bimillenario da Epimeneide. Filosofia, religione affatto regressiva. Presso i filosofi greci, ebbe inizio la rottura del vecchio mondo, con Bacon, Descartes, Spinoza, Kant, par­ti­colarmente con l’ultimo, il nostro mondo moderno dalla tec­ni­ca assoluta. Ma la scienza e la tecnica, contro la loro volontà, hanno dato forte voce alla natura, senza che sia ormai possibile fare ginnastiche mentali. La verità bussa perentoriamente.

Che è la verità? Formalmente: la realtà inclusiva. Ma che rappresenta, qual’è il suo centro, se non la personalità?! La sollecitazione al sapere ebbe esclusivamente come fonte la personalità, inquieta nel suo piccolo mondo del corpo. E la verità è solamente presente dove la personalità è in pace con il mondo circostante. Verità: l’aver scientemente trovato il proprio posto personale nel mondo. Questa la verità, uguale per tutti e altrettanto infinitamente diversa, diversa tanto per la personalità ricca quanto per il socialmente ingabbiato, ristretto uomo della massa. Per l’uno, il mondo ampio, grande e vivamente personale, per l’altro è inchiodata dall’opinione pubblica, meccanica e rozza. Non solamente piacere di vivere, gioia ed etica: anche quanto più lodato, la verità, non da raggiungere che per il tramite della personalità, in quanto il suo nucleo è personalità, forza creatrice, piacere e pace. Non è però «la» verità com’è intesa oggi e nelle grazie della massa, la generale ed impersonale ragione. Portata in cielo, in quanto un mezzo per strozzare la personalità nella sua peculiarietà. E viene pertanto urlata ai quattro venti da coloro esclusivamente lavoratori nella fabbrica dello spirito di massa- da coloro che non si capacitano della profondità della vita e che conoscono che la loro vita di piccoli travet – da coloro che non sono spirito, vuota, personalità ed invece piccoli sgraziati ingranaggi di una tecnica di stato. Per questo, mai non fu cotanto mentito nel nome della «verità».

32. La visione individuale della natura

Prima di tutte le menzogne, sostenere che la natura sia materia inanimata, uguale ed inpersonale, la seconda, che la consapevolezza dell’uomo debba consistere in fredda im­per­sonalità, la terza, che l’uomo abbisogni di una violenta pad­ro­nanza.

In primo luogo, la fattispecie della natura ci insegna:

I cosiddetti atomi hanno pieno movimento proprio, che siano uguali nessuno li ha misurati né tanto meno dimostrato. E’ piuttosto probabile che essi siano diversi tra loro. Quanto noi chiamiamo elemento, presumibilmente non è una forma di materia unitaria. Gli elementi sono gruppi di atomi che pos­sie­dono una loro propria forza interna che riassumiamo secondo le loro proprietà pratiche.Così come consideriamo le onde luminose ragruppate nei colori e altrettanto facciamo con gli esseri viventi considerandoli, in funzione delle loro so­mig­lian­ze, in famiglie, specie e razze;

conosciamo che l’azione esterna degli atomo: è movi­men­to. L’azione interiore, la possiamo misurare che sulla scorta degli effetti esterni, nella modifica che provocano nell’azione esterna di altri atomi, nell’attrazione o repulsione – a seconda dei rapporti intimi. Questo dimostra una completa irradiazione di forza di ogni singolo atomo, e lo scorrere di forze esgterne naturali non è altro che il risultato delle contese tra i mo­vi­men­ti propri dei singoli atomi; si uniscono da atomi vicinori (di uno stesso cosiddetto elemento), allora rinforzano le loro pro­prietà liberando forze. Più forza estranea sono in grado di liberare, altrettanto più saldamente gli atomi si ragruppano assieme ed unitariamente, trasformandosi da gas a solidi. Si uniscono atomi di gruppi diversi, modificano le loro proprietà, si formano composti chimici che tendono a formarsi scaricando le forze dell’unità cristallina;

ogni cristallo con la propria caratteristica spaziale rap­pre­senta un’intima unità di atomi con la maggiormente possibile esclusione di forze naturali esterne. In ogni cristallo dev’es­ser­ci un atomo che possieda una superiorità nelle proprie forze intime e con posizione centrale rispetto alla comunità del corpo individuale; quanto si svolge nel singolo cristallo è rin­trac­cia­bile nella natura degli atomi. Ogni atomo si dev’essere formato, in modo del tutto simile, da elettroni con un cardine dato un un elettrone con caratteristiche superiori. Pertanto, anche gli elettroni si devono differenziare tra di loro, con forze indi­vi­dua­li che si dipartono sviluppandosi. Meglio li denominiamo attidi;

molte le proprietà che caratterizzanogli attidi: ognuno si muove con diversa velocità, ognuno cresce con diversa forza, ognuno emette forza di diversa intensità, ognuno è origine di ulteriori attidi diversificati nel loro livello d’origine;

nella caotica massa delle esistenze, si forma una struttura nella quale, dapprima, alcune forze atomiche inferiori (attidi) vengono asservite per il tramite di scambio di forze. A questo nucleo inziale, può associarsi altra massa semprecché non esista una troppo maggiore preponderanza di forze fluttuanti naturali – il calore – o che diminuisca per raffreddamento. Ogni struttura è una dinamica comunità di movimento, in continua trasformazione. Questo cambiamento degli attidi è l’origine del successivo metabolismo. Il caos si differenzia allorquando si formano più centri grazie a più forze (gli attidi). Queste differenziazioni possono collegarsi ulteriormente, per il tramite di attidi superiori, a organizzazioni con ordine su­pe­riore;

dalla natura inorganica, si è così potuta formare la pro­tei­na vivente, in condizioni favorevoli, grazie alla presenza di attidi (forze atomiche individuali) che hanno costretto uni­ta­ria­men­te atomi di carbonio, azoto, ossigeno, zolfo e idrogeno;

la proteina mostra la sua superiorità in quanto in grado di assimilare ed associare la natura inorganica, si nutre e cresce fintanto che la forza centrale (l’attide principale) ha raggiunto il proprio limite, facendo decadere la proteina.

La presenza di un nuovo attide, così si differenzia la nuova prima cellula vivente, si forma una nuova creatura indi­pen­den­te per il tramite di una riorganizzazione individuale della ma­te­ria già presente; dalle cellule più semplici, le crescenti se­quen­ze degli esseri viventi possono essersi sviluppate in quanto, grazie a intima maturità e condizioni esterne estremamente fa­vo­re­voli, forze superiroi si misero in azione e diressero la tras­for­mazione della decomposizione della cellula in una nuova organizzazione e forme. Anche l’uomo sulla terra ha uni­ca­men­te potuto apparire grazie al fatto che, dalla materia prima di un embrione di scimmia, un attide superiore, sviluppò un nuovo organismo superiore – impossibile prima della rius­cita as­so­cia­zio­ne di attidi – ma allorquando la continua evoluzione degli attidi non permette più la collaborazione tra gli stessi, allora sopraggiunge la separazione, la morte. Ma in quel momento, ogni attide cerca una nuova forma nel caos. Questa l’essenza dell’immortalità.

Dunque: ineguali forze personali prevalgono sia nell’uomo che nell’atomo, cerniere del mondo.

La natura insegna, quale secondo punto:

Il mondo esterno innonda l’individuo con innumerevoli forze, ma veramente poco raggiunge, per i tramite dei sensi, la sua con­sa­pe­vo­lez­za. La maggioranza degli stimoli sparisce senza lasciar traccia alcuna – nella memoria non rimangono che quelli profondamente legati alla vita interiore. Non in cellule cerebrali «oggettive», ma nella personalità individuale, la realtà si prende concretezza;

tutta la vita consapevole non è che una compensazione tra le intime forze personali e quelle del mondo esterno, con­sa­pe­vo­lez­za dell’individualità. Più intensa l’individualità e più chiaro e comprensivo è il percepire grazie all’incedere della forza cosmica; più naturalemente limitata l’individualità e più ridotta ed ottusa la consapevolezza. Probabilmente, ogni individuo possiede una con­sa­pe­vo­lez­za, in forma più o meno sviluppata; questa entra in azione allorquando le forze in­di­vi­duali subiscono delle modifiche: nel piacere ha il sopravvento l’attide superiore che rinforza la personalità, nella svogliatezza, quando questo si indebolisce. Dalle forme prigemie della con­sa­pe­vo­lez­za (individualità, piacere e svogliatezza) hanno luogo, interagendo mondo esterno ed interno (indebolendo e com­pe­net­rando sinteticamente), le forem fondamentali di spazio, tempo, materia, come pure ogni sensazione, sentimento ed immaginazione – un’aggiunta niente affatto indifferente è il piacere, che rappresenta il più intimo obiettivo per l’uomo. La vera dignità dell’uomo: con il massimo piacere possibile, agire nella costruzione della vita. Quando l’uomo lavora senza pia­cere, è, cosmicamente, al declino.

Per terza cosa, la natura insegna:

L’uomo non vuole che mantenersi e diffondersi nella gioia. Se ciò non è possibile, viene sospinto alla lotta. In fin dei conti, l’uomo non è altro fatto, quale gli attidi, che di elettroni, atomi, corpi come nelle cellule e gli animali, che si ritrovano in co­mu­ni­tà. Ma questa non può sospingerlo, con violenza e sot­to­mis­sio­ne, alla negatività. Nemmeno una sovradimensionata pro­li­fe­ra­zione può ingenerare angoscia, e tramite ereditaretà di malattie portare a propria e generale infelicità; si sbaglia il potere dello Stato nel credere di dover domare l’uomo ren­den­dolo arrendevole con la coercizione.

L’uomo personale e felice, una forza costruttiva, veleno distruttivo, quello spersonalizzato e sofferente: lo insegnano storia e natura. La vita è personalità – altrimenti nulla.

 

Allegati

 

Traduzione Bruno Ferrini