Le leggi vitali della cultura – Seconda parte – I valori della cultura: Tempi della maturità

XVII. Diritto maschile

I valori della vita maschile

La comunità prigemia senza separazioni della donna pro­ge­ni­trice, in lotta con natura e umani si è trasformata in uno Stato dall’uomo indipendente. Ora al matrimonio co­mu­ni­tario seguì un matrimonio liberamente personale, in luogo di un possesso comunitario un possesso personale, in luogo di una vita in comune, una vita di famiglia. La famiglia per influsso dell’uomo e delle sue mansioni inerenti lo Stato, ebbe il sop­rav­ven­to della originaria preminenza femminile materna. La famiglia non è stata il seno materno della vita comunitaria – questa era la maternità – bensì il frutto maturo, il risultato di uno sviluppo dei sentimenti comuni e della vita in comune e rappresenta la forma maschile dell’umana appartenenza. La famiglia. quale obiettivo, non è mai stato raggiunto ed il suo ideale mai realizzato: questa unitarietà intimamente desiderata tra uomo, donna e bambino fallì sempre per causa di forze interferenti tra i singoli membri, quali le pressioni dell’am­bien­te circostante.

La vita in comune per cui la natura della donna lottava sorgeva sicuramente dagli intimi sentimenti di madre, ma tutte sue espressioni portano di per sé la ca­rat­te­ris­tica della ne­ces­si­tà: la vita in comune, allorquando le donne gli diedero il ca­rat­te­re, esclusivamente quale difesa, puramente negativa, e per­tanto intimamente sterile. Fu grazie all’uomo, fecondante la donna, che generava progenie e le azioni delle donne della vita in comune prigemia erano dirette a crearsi un futuro: som­ma­ria­men­te, dalla casa al deposito di alimenti – create dalle donne prigemie – l’uomo vi ha immesso la vivace sua volontà danno un limite, misura e obiettivi alle forze scoordinate ren­den­do la convivenza una istituzione per cui la donna seguì le sue indicazioni e pensieri. Materia prima della vita di famiglia è merito della donna, come più tardi in tutte le sue mansioni, ma che ne sarebbe stato se non se ne fosse preso carico l’uomo della pianificazione e farne una grande opera! Non il bisogno ma la ricchezza delle sue forze fisiche, sensuali e spirituali rappresentano il valido strumento con il quale l’uomo realizzo il suo compito di vita, per farne della confusione di una dis­or­di­nata vita in comune un vero costrutto fatto di amicizia, mat­ri­mo­nio, Stato. La donna sfrutta le forze a lei disponibili, l’uomo riconosce nelle contingenze che il seme di quanto resta ancora da fare e rende, se non obbliga le forze della natura al suo servizio della sua opera umana.

Pertanto, tutto diventa una vita in comune superiore – la vita in comune che innalza l’u­ma­nità, non inibirla, che gli deve fornire misura e gran­dez­za, non farlo appassire – lavoro d’uo­mo che sia la grande istituzione che rappresenta la famiglia odierna o quella vista quasi da racconto di favola delle istitu­zioni 60) dei tempi cretesi, di Sparta, tebane, o degli amor cortesi albanesi che seppero elevare forze naturali a potenze morali educando il giovane in fase di ma­tu­ra­zione sessuale e caratteriale per il tramite di un intima ges­tione tra amanti maschili. E che queste creazioni maschili stan­no oggi iniziando a sbriciolare, come d’altronde anche la fa­mig­lia, quasi fossero quasi com­ple­ta­men­te aliene alla con­sa­pe­vo­lez­za, tal qual amor cortese, è indice di un degrado dell’uo­mo e del relativamente associato ricupero della donna.

Uomo e donna, forze contrastanti e particolarmente la don­na, sostenuta da millenarie armi maschili, tende al do­mi­nio, una volta, agli inizi della cultura superiore, con l’uomo che aveva la possibilità di dimostrare la sua superiorità facendo retroceder la donna. Non è che essa si insinui, o sia meno ap­prez­za­ta o ritenuta meno necessaria ma l’uomo la superò crean­do una cultura elevata.

L’uomo divenne padrone, ma esclusivamente quale vettore della razza cui i suoi avi avevano dato il sangue e che in con­ti­nua frammistione ne hanno mantenuto le qualità. L’uomo reg­nò sopra paesi e genti, con una posizione di preminenza alla donna. La donna divenne possesso, in certo senso un oggetto, sottoposta ai vezzi del marito. Giuridicamente schiava e per­tan­to no stava peggio dei suoi bambini, serva della casa sopra la quale l’uomo poteva disporre in modo illimitato senza per­tan­to abusare dei suoi poteri. La singola vita si svolgeva in stabili circoli; di generazione in generazione, crebbero i pos­ses­si del padrone, la campagna venne urbanizzata, i pascoli creb­bero, campagne militari fornivano nuovi schiavi e prede. Il commercio, una volta attuato da donne nei loro siti prigemi e che aveva luogo nei ginecei  prese nelle mani di schiavi un gran­de impulso, portando nuove ricchezze.

Così, ognuno viveva nel seno della propria famiglia, int­rec­cia­to con i suoi membri, affievolendo, di ge­ne­ra­zio­ne in ge­ne­ra­zio­ne, grazie ad una reciproca considerazione, ogni abitudine e tradizione, dando grande valore alla vita dei sentimenti. La donna si elevò nuovamente; limitazioni esterne le furono com­mi­na­te in quanto l’uomo per piccoli o grandi motivi vole­va­no mantenere l’esclusivo sovrappeso, am comunque la posizione del ma­ri­to era anche la loro, la considerazione goduta dal ma­ri­to diventava anche sua, particolarmente dove le leggi maschili avevano trovato ampia applicazione come tra i dorici, i romani o i germani.

Accanto alla sposa, la donna, – divenuta realmente tale che con il diritto maschile – i bambini diventano l’affetto del padre. Dapprima, secondo il caso, a lui indifferenti o creature piacevoli, spesso una preoccupazione, i bambini diventano per l’uomo un passo verso il futuro diventandone la propria pro­secuzione ed innalzamento; un giorno verranno loro asseg­nati i propri averi ed il proprio sangue quali depositari del proprio potere e dominio. Oltre a ad affettuosa abitudine e ap­prez­za­mento dei valori per lo Stato, il padre confronta i propri suc­ces­sori con delle prove. Non trattandosi di un ap­prez­za­mento personale, ma della messa al sicuro delle razza, deve garan­tirne l’autenticità e deve pertanto escludere dall’eredità, mal che voglia, bambini extra coniugali, i bastardelli, oltre il bene che voglia loro, dal diritto comune. E pertanto assumono un ruolo primario la fedeltà della donna e l’inviolabilità della vergine 62).

Se per l’orda di diritto materno valeva il principio di es­se­re che forti ed uniti, uno stato da formicaio dove il singolo individuo dalle limitate necessità personali, lo stato di diritto maschile creò quelle superiori all’insegna delle necessità co­mu­ni, ma con l’avvento dell’essere singolo e pienamente dis­pie­ga­to, la realizzazione dei valori dell’onore, dell’indipendenza e del progresso. Onore – di grande conto per la vita in comune, originario e valore anche per la razza, più tardi per l’umanità; in­di­pen­den­za – sia quella esteriore-economica che quella etica-interiore, coraggiosa e pronta a responsabilizzarsi, in­di­pen­den­za ed immediatezza della vita interiore; progresso – l’ins­tan­ca­bi­le lavoro alla e con la la natura, l’attiva appropriazione di ogni nuovo tesoro di forza e grandezza che la natura rende disponibile, questa la disponibilità, sicura di sé: sempre pronto ad iniziare dal nuovo, ignorando seguito ed approvazione, a scalare la natura per vette sempre più levate dell’umanità.

Questi i valori della vita maschile, creazioni dell’uomo che potè diventare signore; pertanto rimasto vero; ogni cultura su­pe­rio­re è aristocratica e maschile, altrimenti vale nulla. Quan­do l’umanità comprende l’umano i contenuti dell’umano as­su­mo umanità, e ciò sgorgando nel singolo e, più originariamente che nella nella natura ricettiva femminile legata alla natura, nella volontà maschile. Per la donna, vita in comune, Stato, tradizione sono la causa di tutto il loro essere, mentre l’uomo cerca il proprio l’effetto nella costante invenzione creativa di tradizione, Stato e popolo. Se la donna può prendersi il merito per le anziane origini della cultura, il futuro della cultura si basa sull’uomo in quanto lui stesso cultura.

 

continua

 

Traduzione Bruno Ferrini