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Da una vera e propria vita

Una coincidenza: Eduard von Mayer

Già, prima della partenza per Pietroburgo, sapevo che avrei trovato una amichevole accoglienza da una famiglia le cui figlie erano state da noi a Jootma, in visita da loro zie in cura da mio padre. Era la famiglia della vedova sua eccellenza Charlotte von May­er. Il marito era stato il dott. Karl von Mayer, stimatissimo medico e fondatore dell’ospedale evangelico di Pietroburgo. Già suo padre, il medico e consigliere Dott. Karl von Mayer era stato una personalità in vista. La famiglia era originaria del Braunschweig da dove, Johann Anton, il nonno del fondatore dell’ospedale era stato a suo tempo, sotto l’occupazione dei Je­ro­me, chiamato a Charkow e, per i suoi meriti durante la peste, reso nobile dell’Ucraina.

Sapevo che, accanto alle quattro sorelle e tre figli ve ne era uno che doveva pressapoco avere la mia età: Eduard von May­er, da poco maturando. Il pensiero per questo figlio non mi era manco piacevole, avendo sempre piuttosto preoccupazione nei confronti di giovani della mia età perché mi apparivano sempre piuttosto indietro nei loro interessi e mi sentivo obbligato a­dat­tar­mi alla loro vita ed interessi piuttosto superficiali, quan­d’anche lo sport non era ancora così di moda. Ma anche lui era stato messo sull’avviso da sua madre di trattar bene la nuova visita e non ritirarsi nel bosco. D’estate abitavano la loro «Dat­scha», la villa estiva Charlino a Lewachowo, sulla linea fer­ro­via­ria che collegava Pietroburgo alla Finlandia. Il dott, Karl v. Ma. Aveva comperato un pezzo di terra dal conte Lewaschow e costruito una casa di campagna con un ampio giardino in om­bra, con molte betulle. Confinanti, boschi e prati e laghetti cir­con­dati da pinete. Nella mia prima visita di quei tristi giorni, non trovai nessuno in casa. Tornai sulla strada verso il bosco e mi appoggiai ad un ponticello fatto di tronchi di betulla, ma­lin­conicamente sprofondato sovrappensiero, all’idea di un oscuro futuro.

Poi, improvvisamente, una voce: «Ho il piacere di parlare con il signor von Kupffer?»

Era un agile giovane, testa piccola, dalla mia statura, bion­do quanto me, ma dagli occhi azzurri. Questo era Eduard von Mayer. Allora, nessuno dei due avrebbe pensato che avremmo diviso assieme tutta una vita, soffrendo, lottando e anche ral­leg­ran­doci. Ero ancotutto preso dai mie pensieri di preoc­cu­pa­zione. Lui, problemi scolastici non aveva mai avuti quanto me; cresciuto a Pietroburgo, parlava correntemente il russo e non aveva problemi di tipo finanziario, come invece li avevo io, visto che sua madre era benestante. Ma soffriva di altri motivi, era solitario in mezzo ad una cerchia animata, oppresso da una famiglia dall’incomprensibile pietismo, da una madre de­ci­sa­mente ristretta nel pensiero dalla religione che d’altronde era una signora amichevole e molto ospitale ma che con il tempo assumeva sempre più l’aria di una badessa. I due fratelli non si erano risparmiate le gioie della vita, in pieno segreto; accanto a loro, il figlio più giovane, aveva una ricca vita interiore che era stata affidata incomprensibilmente alla cure di un giovane teo­logo. Lo spirito di questo giovane era stato quasi soffocato fosse un bambino. Non aveva mai potuto frequentare un teatro, quando l’avevo conosciuto, gli spettacoli erano peccaminosi. Per la sua creatività poetica che stava sviluppando, i suoi non avevano assolutamente interesse. Quando lo conobbi, era un essere così solo, sensibile e facilmente offendibile, a scapito dei suoi diciotto anni, mentre io, malgrado tutto quanto avevo su­bi­to e venendo da una casa pia ma pur sempre di larghe vedute, ero abituato ad esprimere le idee che mi agitavano, trovandone una partecipazione. Oltre tutto, Eduard v. M., da ragazzino tredicenne durante le sue vacanze in una spiaggia nei pressi di Reval, si era innamorato in una ragazzina dalle trecce bionde, Elisabeth von Stackel­berg, figlia del Pastore barone Stackel­berg, un amore che dovette celare, senza mai più rivederla, qua­si come Dante nei confronti di Beatrice e che trasformò nell’ideale di una donna angelicata.

Quando ci incontrammo, entrambi portavamo in cuore, sebbene diversamente, l’amore per una ragazza. Quello che ci avvicinò, fu un modo di comprenderci nello spirito e nell’a­ni­ma. Anch’io a Petersburg mi sentivo solo. Una reciproca com­pas­sio­ne, assieme ad una comune poca considerazione per un mondo attorno, incomprensibile. I camerati di Eduard non partecipavano ai suoi interessi che da parte mia, in modo li­be­ro da restrizioni, con una dose di tranquillo senso di si­cu­rez­za di mé stesso, agirono su di lui, in modo liberatorio. Presto, dopo quell’incontro, il 20 agosto, ci sarebbe stato il comp­lean­no della sorella Sonny con una notte all’italiana; vi ci fui subito invitato. Trovai moltissima gente in una casa di campagna ospitale, con tanti che ci passarono pure la notte; nel giardino, innumerevoli lampioni. Nella sala da pranzo, con la piccola fontanella, grande animazione. Ero appena stato accolto nella Annenschule e potevo avere un momento di sollievo. La signora Charlotte von Mayer non mancò di accogliermi calorosamente, per lei essendo un perfetto sconosciuto, senza alcuna idea sui miei pensieri che più tardi avrebbe appassionatamente ri­fiu­ta­to. I camerati di Eduard mi restarono tutti estranei, salvo che per Paul von Kügelgen, che rividi spesso, giungemmo persino al reciproco «tu», ma nulla di più. Era il figlio del capo­re­dat­tore della conosciuta St. Petersburger Zeitung, che finirà nel 1915 le sue pubblicazioni, dopo quasi 200 anni di attività, un bis-bis-nipote dell’autore delle «Memorie di un vecchio». Im­parai a conoscere anche suo padre, il vecchio signor Paul von Kügelgen, ma era il rappresentante di una forma di pro­tes­tan­tesimo poco aperto nel cuore che, alla pubblicazione del mio «Leben und Lieben», si trincerò in un mortale silenzio, seb­be­ne in loco non ci fosse un eccesso di poeti in lingua tedesca. Oltre tutto, vedeva male il fatto che l’amicizia di Eduard per suo figlio si spostava sempre più a mio favore.

Ma Eduard ed io, non siamo volati l’un nelle braccia dell’ al­tro, come tanti hanno poi creduto di sapere; mi apprezzò ben presto spiritualmente, ma poco riscontro trovai per il mio es­te­rio­re che tanto effetto aveva su molti. Questo, lo venni a scop­ri­re per caso, senza che lui ne sapesse qualche cosa, e che gli confessai molti anni dopo, allorquando eravamo già soli­da­men­te legati. Lo devo citare, visto che molti lettori potrebbero ave­re avuto l’impressione che sia particolarmente vanitoso per le mie parvenze. Volli rappresentare la mia verace vita. Bellezza e l’esser bello erano mie innate necessità ed ero felice di poter offrire un lato piacevole ad altri, quasi un segno di pudore. Vi sono quelli che credono di poter essere piacevoli ad altri, co­mun­que essi siano; esiste una provocazione anche da parte della bruttezza non bellezza. Fosse stata una semplice forma di superficiale vanità, avrei lasciato perdere la conoscenza, visto che, oltre tutto, mica apprezzavo molto i coetanei. Penso che un destino superiore mi ha dato questa superiorità d’intenti facendo diventare questo essere il mio più fedele amico, am­mi­ra­tore e lottatore. Ma ciò non avvenne velocemente, quanto moltissimi potrebbero pensare, questa validissima comunità di vita non mi cadde nelle braccia quale maturo frutto, o no, ci furono da superare parecchie difficoltà sulle quali riverremo. In fin dei conti, siamo due nature e temperamenti diversi, in quanto giungiamo da due diversi ambienti. Eduard von Mayer era allora oltre tutto racchiuso nei suoi sentimenti e si op­po­ne­va a qualsiasi influsso che venisse dall’esterno, a liberarlo. Lo ripeto ancora una volta, fu il legame spirituale e delle anime, se non non un destino superiore, che evitarono di andare re­ci­pro­ca­mente alla deriva, in quanto la nostra opera di vita ab­bi­sog­na­va di entrambi. Vi sono cose tra cielo e terra che non trovano spiegazione nelle nostre conoscenze scolastiche, come ben dice Shakespeare. E questo dà alla vita il suo significato nascosto. Da cosa sarebbero originate la nostalgia dell’uomo, il desiderio per cose e piaceri, per l’insistenza che non vengono paragonate dalla vita?! E da dove, prima di tutto, da dove trae origine la critica di un mondo dalla compulsiva realtà, se non ne fossimo che loro creature, non funzioni di questa natura? ... La fun­zio­ne di una macchina non può espletare critica. Critica è solo possibile dove esiste un «altro modo d’essere». In un tutt’uno monistico, critica e nostalgia sarebbero mostruosità im­pos­si­bili.

Amore, scusa e follia

In Novembre, mi prese una tale malinconia che fuggii da Pie­tro­burgo: verso Jootma, dove mi ripresi, sempre però immerso nei libri dei miei studi. Il mio romanzo d’amore prese spazio, importante per capire la mia vita sentimentale, pertanto di valenza più generale. Eduard mi scrisse l’8 dicembre: «In ques­ti giorni mi sei mancato molto, quante volte avrei voluto rag­giun­gerti …» Poi, in conclusione all’amorevole scritto, ironici rimproveri: «Tu nuoti, qual pesciolino nell’acqua, nelle società e ti lasci fare la corte da giovani e belle signore e da orribili baronesse … Poi, a proposito, da un bel bacione a Agi, prenditi il rischio, ci penso io alla responsabilità e la colpa … Attendo con impazienza un tuo scritto». Al che risposi, tra altro il 13 Dicembre 93: «Agnes venne con la dama inglese, Mrs. Leeth, in visita a Lechts, sul mezzodì e restò fino alle otto di sera. Mi divertii parecchio. Suonò a memoria Chopin e Grieg. Mi pregò di recitarle alcune poesie, volentieri accontentandola. Tra queste anche:

 

Posso amare che un’unica volta,

Pertanto, risparmiami, bambino, il mio cuore!

Non sono una farfalle scatenata,

Che ogni fiore bacia.

Posso amare che un’unica volta,

Dovessi anche morire.

Dovessimo separarci, mia cara,

Che un bacio,

Affinché sia una volta

Prima che muoia.

 

Grazie a Dio, mai son morto per un infelice amore,

non ho mai nemmeno contato i baci.

Ma quella volta ci ho creduto, come ognuno,

che appassionatamente per la prima volta ama.

 

Le fece, evidentemente, piacere. Alla lettera aggiunsi; «Il mag­gio­rato che sa quanto ami Agie, sembrava molto manieroso e sembrò evitare qualsiasi concorrenza. Come lessi la fine della tua lettera, mi venne proprio da ridere, visto che i sedeva prop­rio di fronte. Non avrei avuto nulla in contrario ad eseguire il tuo consiglio a riguardo del bacio … Ma nella società, non fun­zio­nò, Sì, amore insoddisfatto! … oltre tutto (scrissi) non è che tu abbia spesso avuto a che fare con questi tormenti. Eppure si cercano e non puoi vivere senza». Una volta esercitammo, un’ es­tate, u piccolo pezzo, scritto tutto in mio favore. Non ar­ri­vam­mo ami alla sua esecuzione, più che altro in vista delle chiacchiere dei vicini. Per l’occasione, tagliai a Agnes una cio­cca di capelli, quale reliquia d’amore. Separato da amore e ami­ci­zia Eduard v. Mayer, in tutto. Il bailamme della città, un cuore che lo capiva. L’11 dicembre mi scisse: «Non avrei pen­sato di sentire tanto la tua mancanza, come ne è proprio il caso. MI siederei volentieri accanto a te … Terribilmente de­so­la­ta questa vita e non avrei assolutamente nulla contro di res­tare rigido e freddo stecchito nelle prossime 24 ore. Poi mi dico; unicamente … bere, dimenticare, dimenticare – coûte que coûte – si nel vortice dei piaceri o vivi avventure senza legami vivere! Ma ne vale la pena, godersi questa vita? Ma quando son preso di te, mi sento meglio. Sei una persona, che amo, amo molto e chi mi ama, malgrado i contrasti abbiamo interessi in comune e spesso simili visioni del mondo, trovo in te l’aria che devo respirare per poter vivere la mia vita fisica in modo sano, che mi sospinge, mi fa superare il grigiore e la sobrietà, l’inu­ti­lità della vita quotidiana. E pertanto sappi; ti voglio bene.» Un profondo eccesso di vita, nutrito da lungo giogo, lo tenne pri­gio­niero. Il pericolo di un’esplosione era immane. Meno di un anno più tardi subire il primo schianto, poi manco tre anni dopo, il secondo pieno di conseguenze.

Natale 1893, triste, il primo senza mia madre. Al primo venerdì fui di nuovo a Lechts, potei vivere l’albero con le can­de­line accese, Apparii nella mia uniforme di gala, donatami da mio padre, sebbene non l’avessi richiesta. Era blu scura, dal col­let­to azzurro e revers, tutto con ticami d’oro ed una fodera di seta bianca, stretti calzoni con i loro risvolti. Poco dopo Natale, ci visitò Eduard che rapidamente tornò a Reval per rivedere il suo ideale, Elisabeth von Stacklenerg.

Sarebbe stata l’ultima volta. Inizio febbraio, lo zio di Agnes, il barone Georg v. H. organizzò una festa in costume a T. Mio padre, che vedeva volentieri il mio rapporto con Agnes che le era anche in simpatia, mi rese possibile il viaggio da Pietroburgo all’Estonia, seppur di qualche giorno. Oltre l’u­ni­for­me di gala, avevo un bel costume in stile spagnolo stile don Carlo o don Giovanni nei colori estoni verde, violetto, bianco con un piccolo mazzo dagli stessi colori, violette e mughetti con foglie, un cappello con due magnifiche piume di struzzo della figlia del console, Poi ci fu una una ulteriore festa a Lechts e le giornate volarono. Agi ed io ci siamo prestamente riconosciuti, malgrado le maschere. Imparai a conoscere un’altra ragazza che venne poi a trovarmi a Jootma, la figlia adottiva della generalessa von Kämpfert, una sorellastra del citato piccolo principe caucasico Andronikoff.

Problemi d’amore

Potei confessarlo sinceramente: «Ebbi modo di soffrire molto dell’astinenza per il sesso debole.» Non per nulla, misi in bocca del morente Gregorio VII:

 

Nulla di sacro sia in terra,

Che ogni tempio venga distrutto

 

Eravamo entrambi diventati collaboratori della casa dei poeti a Vienna, ma pure la cattolica «Voci di poeti del presente» in Ober­lahnstein ed il suo editore Leo Tepe van Heemstede es­pri­me­vano il loro caldo riconoscimento. Lì apparve il poema «Gregors Tod», che poi anche il dott. Siebenlist di Vienna di­chia­re essere un grande poema in affresco di grande stile. Non credevo all’ateismo assoluto, nemmeno a quello del mio amico, sebbene lo accentuasse. Ai suoi argomenti rispondevo: Certo, amo tutto il bello, carino, anche quella ragazzina carina ma quando, come tu scrivi, la conglobassi nel mio Harem, almeno in quello non platonico, come lo chiami tu, ma sai che lì ci sta un altro sesso. Mi mantenni sempre la vista larga che rifiutò qualsiasi limite. «Mi interessa molto, che tu stia bene in Ger­mania. Mi ricresce solamente che voglia restare in Svizzera … Uguale dove (in Germania), ma basta che non sia senza Agi … Purtroppo devo rinunciare in questa biografia a riprodurre tutte domande che sorsero e vennero discusse nella cor­ris­pon­denza, ci porterebbe troppo lontano e creerebbe ulteriore con­fusione nel giudizio della mia vita sentimentale.

Ho contraddetto con un poco d’ironia la fierezza dell’al­truismo del mio amico e definii il suo apparente oggettivismo il suo «giocattolo». Ho rifiutato nelle mie lettere entrambi gli estremi come insostenibili nella vita. Altrettanto di quello che pensa solo per se, come altrettanto di quello che non pensa mai a se stesso. Non mi addentrai nella dimostrazione in quanto ogni «termine», anche quello dell’ateista e della scienza ven­go­no determinati da punti di vista. Potrei anche fare di­mos­tra­zio­ni ad omine che si indirizzano alla personale identità in­di­vi­dua­le ed agli interessi del diretto interessato, ma non si bi­sog­na mai lasciarsi compromettere in una teoria né bianca né nera o entrambe come il grigio. Nella vita non ci sono due situazioni identiche, come in natura non ci sono due foglie identiche ed ogni fatto esige che venga preso in considerazione in modo identico, altrimenti diventiamo dei don Donchisciotte.

Fui nuovamente in Jootma e descrissi la mia stanza che avevo ancora reso più accogliente. Immagina, Cristo, Schiller, Goethe ed una bella venere ed una grande fotografia del mio dipinto preferito „sulla scorta dell’esempio degli Dei di Se­mi­rad­sky. Un giovane romano bacia in un parco una giovane ro­mana e accanto, a lato su di un piedistallo, si baciano Amor e Psiche in marmo. Vorrei trovare il modo di attirare Agi … Una volta è già stata qui sopra. Il sole della sera cade dorata dalla finestra … Come potrebbe essere bella la vita! A che pro bel­lez­za, gioventù, voglia di vivere se devono perire? Ho un in­des­cri­vi­bile desiderio di godermi la vita e la sua bellezza, di amare ed essere amato eppure – vengo costretto dalle immanenti ne­ces­si­tà del momento, oppure dai miei propri principi, in un or­ri­bi­le giogo.

Eduard era nel frattempo a farsi una cura a … dove anche la famiglia si era recata e cercò di ripetutamente convincermi che anch’io debba andare all’estero. Ma dovrei comunque dap­prima chiarire la situazione per quanto concerne il mio obbligo militare, visto che ho rinunciato agli studi in Russia, durante i quali il servizio era stato prorogato. Personalmente mi op­pri­me­va la scelta: o restare in Russia a morire di fame come poeta o finire in angoscia in Germania, se avessi sfortuna. Ah, Edy, un brutto dilemma! E il pericolo di perdere Agnes, dalla quale ero pur sempre attirato appassionatamente, quando la vedevo e la vivevo. Dopo la morte di mia madre vi fu da parte mia un certo disinganno in quanto mi mancava un caloroso sentimento in comune. Tutto lo spirituale aveva una forte preponderanza. Vi furono momenti molto tristi dove vennero alla luce versi del tipo:

 

Dove vostri roventi giorni beati,

O dolce libidine di giovini?

L’amore perisce nel mio petto,

Mia primavera a grigia saga.

 

Oppure:

 

Cede la nota

Spettrale un ultimo suono

Canto lugubre

Passati, rovento canti d’amore.

 

Alcune poesie apparvero allora presto in «Deutschen Dich­ter­heim» in Vienna come la poesia «Una supplica» con i versi di profondo dolore:

 

Sì, prega Dio, ti lasci morire!

Ti sacrifica quale incenso

Sugli altari celesti

nel primo puro alito d’amore.

 

In quanto:

 

Non conosci della terra l’anatema,

Come ogni cuore, che ama

Alla terra nell’arena

lento veleno a perire.

 

In un giorno di Pentecoste in giugno, vi fu un bazar sul sagrato della chiesa in Ampel. Mentre c’era Agi, l’ho fedelmente ac­com­pag­nata, ma intervenne la paura delle chiacchiere della gente e me ne lamentai in una lettera «un tal ragionamento e calcolo per cui l’età è innaturale. Con sua sorella Erika è tutto molto più facile.» Dico ora: fors’anche perché lei percepiva che non l’amavo. Poi in un codicillo scrissi di una nipote del barone Uexkull presso T. che rividi lì: «E’ sottile, carina, ha scuri occhi sbarazzini ... raccontata così accanto, non devi scrivermi un’al­tra lettera pulita pulita come quella da Odessa. Nella stessa lettera del 20 giugno 1894, mio sono confrontato con una con­si­de­ra­zione morale del mio amico e credo, nel contesto, sia utile ed istruttiva riferirne in quanto spiega anche il successivo evolversi, anche a pericolo che esista ancora gente che ritenga doversi spaventarsi davanti alla naturali vicende della vita. Viviamo comunque in un tempo di rivoluzionamento di vecchi pregiudizi che bussano alla porta e dove pensieri una volta in avanti con i tempi vengono sempre più accettati. Malgrado il mio idealismo, non fui mai uno che viveva nelle nuvole, usavo come premesse dei fatti reali. Anche se cresciuto in un mondo decisamente conservatore, i giudizi che avevo espresso da gio­va­ne testimoniano una indubbia maturità che, senza esserne stata influenzata, rispetto alla predominante etica sociale dell’ epoca e l’ambiente anche rispetto all’altrimenti molto in­tel­let­tua­le e radicale amico, che era molto ascetico anche nei con­fron­ti di piaceri non dannosi; si era spontaneamente dichiarato completamente astinente. Nella mia lettera dico: Te ne concedo una, il tuo coito (extraconiugale) fintanto è più morale che fare all’amore con ragazzi maturi, ma solo in quanto soddisfa il man­te­ni­mento della specie – nota bene se quello scopo lo ri­te­nia­mo morale. Ma dal momento che lo sviluppo naturale vien evitato (seguono esempi di contraccezione) e ciò avviene sem­pre più spesso di quanto lo si presupponga, allora non è im­mo­ra­le … Meraviglia ancor di più questo giudizio oggettivo, visto che non ne venni così o così coinvolto nello scrivere la lettera. Poi segue un’accusa contro l’erronea società sociale. La parola «vizio» venne da me ancora utilizzata in un modo che oggi, da maturo uomo d’esperienza non utilizzerei più in quanto un altro ordine sociale non potrebbe eliminare la corporalità dei sentimenti, sì, non sarebbe nemmeno auspicabile che mani­po­las­se la volontarietà, a parte il fatto che per molti ciò non avrebbe un senso. Ragione ebbi con l’affermazione che il potere «della morale sociale permette e facilita i più folli concetti di onore». La società lasciava giustificare molti dubbi per quanto riguarda un suo «futuro migliore».

Il giovane pensatore e medico dell’anima

«Morale vuol dire, per me: ama il tuo prossimo come te stes­so.» Queste parole a Eduard erano al medesimo tempo una appropriata osservazione contro l’assoluto (quasi nichilista) altruismo, sostenuto dal mio amico che ritenevo fosse una il­lu­sione soggettiva, persino pericolosa; chi si autoviolenta, se ne ritiene anche giustificato moralmente, per una buona opera. Questo il risultato, il più delle volte, del suicidio – anche l’ori­gi­ne di molte persecuzioni e sottomissioni. Questo, Eduardo l’aveva vissuto sulla propria pelle, agendo, sua matrice, in continuazione su di lui, nel suo essere, fino alla sua propria liberazione.

La spiegazione: «Per amore verso gli altri, non è da com­pren­dere che quella di chi vive, ma anche per le generazioni future. L’amore deve preservarti dalle azioni che possono dan­neg­giare la tua progenie.» Questo il fondamento dell’eu­ge­ne­tica, per una più sana discendenza, meno degradata.

Dal «Mio carissimo Edy», come mi indirizzavo a lui, mi giunse una lettera, alla quale risposi: «Spaventoso, se non ti conoscessi».

Nuovamente cercai di raddrìzzarlo, presentadogli la mig­liore della sua posizione, rispetto alla mia; la sua «as­si­cu­ra­ta posizione nella vita» gli avrebbe permesso un lavoro senza intoppi». Riccamente dotato interiormente, avrebbe potuto progredire senza difficoltà, mentre io ne avrei avuto in ab­bon­dan­za, se non altro per causa della russificazione. «Puoi pren­der­ti la bellezza nel tuo intimo», lo consolai, «costruirti una bellezza nel tuo essere». Non doveva rinunciare al suo polo ide­ale, Elisabetta. Quando c’è di mezzo l’amore, si possono su­pe­ra­re le difficoltà di diverse visioni del mondo, di altre fedi. «Non fossero diventate tue, non devi disperartene; un grande uomo non deve soccombere di fronte ad un singolo. I grandi maestri hanno ricuperato in se stessi tutto il mondo. Può il desiderio per una singola donna mettere un giogo a tutto il tuo spirito? che vada in frantumi, indipendentemente dal fatto che questa donna rappresenti alla fine che una parte dell’umanità.»

Queste esortazioni non erano di un anziano medico della spirito, ma di un vitale giovanotto ventiduenne! preso a fre­quen­te­mente avvertire la vivacità dei sentimenti.

Questo promemoria si riferiva al non doversi perdere nel troppo specifico, ma mantenere il senso del generico rapporto tra le cose. Segue una ancor più acuta censura e scandaglio del­la morale che rischiava di soffocarlo, come a molti altri prima di lui, che si erano distanziati dalla realtà e divennero schiavi di una proibizione «tabù». Propriamente usò questa parola costrettovi dalla sua natura, senza pertanto essergli utile alla salute.

«Tabù» parola dalla Polinesia, diventata usuale nell’i­den­ti­fi­care proibizioni morali, atte (come da noi) a evitare parole, azioni o toccamenti, il cui superamento rappresentano un pericolo per la società umana. Ma il tabù non rappresenta una potenza che nei popoli primitivi, ma bensì anche la morale europea-statutitense consiste di questi superstiziosi «Tabù», sia per uso tramandato, credenze popolari, supposte volontà divine e simili.

Vorrei aggiungere, probabilmente dire con oggettiva ma­tu­ri­tà, se si pensa che io stesso avevo in passato un punto di vista ben più religioso di quello espresso dal mio propriamente ateo amico Eduard von Mayer.

«Sappi, mio caro Edy – per favore, non capirmi in modo sbagliato – se valuto giustamente la natura dell’umano e con­si­dero tutto quanto che sia naturale (aveva studiato scienze na­tu­ra­li), non costume o morale, corrispondente alle relative epoche e che ne fecero, giungo al convincimento che si de­fi­nis­cano possibilmente molte cose essere cattive, chiamate im­mo­ra­li, che non sono che appartenenti alla natura … La morale, un con­cet­to nulla affatto fisso. Ti dovrebbe essere pertanto molto più facile liberarti dal convincimento che la morale sia u con­cet­to immutabile, visto che non giuri sulla Bibbia. Il sod­dis­fa­ci­men­to degli istinti amorosi è cosa inerente alla natura. Come se ne possa fare cosa immorale, se non soggiace in forma par­ti­co­lare o cerimoniale? In molte popolazioni se ne ha tuttaltro concetto o altra opinione. Morale e diritto non sono di per se qui, ma dipendono da un’autorità. Pertanto, anche il Jus Natu­rale è insensato. Pertanto, diritto e morale, corrispondono ai sen­timenti sviluppati storicamente da tempo. C’è chi ritiene immorale frequentare spettacoli teatrali (e lo fece pure tua madre). Se ci metto sopra una pietra, posso fare altrettanto per l’immoralità del soddisfare gli istinti amorosi.

Come aveva già giustamente dedotto il giovane, tutto di­pen­de dal riconoscimento da parte di un’autorità, poco importa che sia la Bibbia, Chiesa, Buddha o Maometto, quando questa podestà non trova riscontro nella voce della propria coscienza. E continuai, alla ricerca di una soluzione: A me sembra per­tan­to assolutamente soggettivo quando qualcuno, come te, caro Edy, se ne fa una questione tirando mostruosamente in ballo la propria visione morale superiore. Schopenhauer ti direbbe; Lei è ancora sotto l’influsso della legge ebraica. Sì, senza che tu te ne renda conto e lo sappia, sei influenzato dalla Bibbia, o meg­lio, dal tuo ambiente circostante.

Io ero dell’opinione che si potesse prendere la figura di Cristo ben altrimenti dei pietisti. Contemporaneamente, venne pubblicata nelle «Dichterstimmen der Gegenwart», la poesia alla Prinzessin Ludwig Ferdinand von Bayern. Contempo­ra­nea­men­te, scrissi il grande poema «Non possumus» che aveva come contenuto la valenza spirituale del papato e la intima fiducia nel detto «non possiamo» (retrocedere), un testo che trovò il ringranziamento, nel 1903, da parte di papa Leone XIII, poco prima della sua morte. Non andai allora a verificare quanto le mie proclamazioni vi coincidessero, ma credo co­mun­que di aver compreso meglio di molti altri l’intimo senso di una guida mentale-spirituale, meglio di coloro che soli o a chiunque della Chiesa si sottopongono. Il cristianesimo non saprà riacquistare vitalià nelle nuove generazioni che a con­di­zio­ne di associare i suoi valori spirituali con una ri­va­lu­ta­zio­ne dell’Eros dalle funzioni spirituali ben altre che da semplice motore di una fabbrica del genere umano. Eros è Amor, non Sexus. Sexus è «Genso». Eros è amore, non sessualità.

Tranquillo, da medico dell’anima, continuai; «Avrei voluto più che volontieri vaccinarti con gioia alla vita, penso quasi esserci riuscito, sebbene che anch’io sia spesso malinconico. Ho una ricca sorgente di cose cui credo in me, e continuamente rialzo la testa.»

In quei tempi avevo studiato «De juri belli ac pacis» del filosofo giurista , Ugo Grotius (1583–1645), ammirato della sua scienza, ma vi ci trovai di già che ne faceva troppo uno show, senza andarci a fondo. Mi occupai vivamente pure del filosofo materialista Hume (17811–1776) di cui riconobbi la chiara vi­si­one per la realtà, in quanto ero sempre a favore dell’o­pi­nio­ne che si dovesse prenderla come punto di partenza e d’appoggio per i propri voli. Vorrei inserire subito ancora altro, ovvero che allora non conoscevo Nietzsche e pertanto non potei mi­ni­ma­men­te subire suoi influssi nelle mie libere con­si­de­ra­zio­ni di carattere morale.

Grande interesse per la mia abilità lo dimostrò la baro­nes­sa Caroline von Krüdener, di questo misi al corrente il mio amico. Pure qualche giovani dame, ospiti durante l’estate, se n’erano fatto cura. Ma non mi ha risparmiato l’eterno vizio dell’uomo di occuparsi degli affari degli altri. Allorquando mia sorella era preso la baronessa D. in T., già si chiaccherava di me e Agnes quale coppia di amanti. L’interesse della gente alla vita amorosa è grande, ma per invidia ed una falsa morale, questo interesse per lo più scade a disgrazia distruggendo molti amori, e pure la felicità di vivere di tanti.

La miseria della gioventù maschile

Una sera accompagnai alcuni camerati in una di quelle case pub­bliche e segrete (aperte ma chiuse) dove l’amore è dis­sac­rato e venale. Non l’aveva mai fatto prima e mai l’avrei. Non è che mi voglia ergere a moralista e giudicare. Diventata un gros­so problema, difficile da risolvere con innovazioni, piut­tos­to in conformità alla naturalezza degli antichi o vivente in altri po­po­li. La gioventù maschile dalla fresca maturità dai 14 o 15 fino ai 25 e spesso anche oltre, non trova di meglio che di fre­quen­tare quei luoghi o si aiutano da soli. Um moamettano al quel veniva rinfacciata la vecchia morale persiana ebbe a ridire: «Voi avete la prostituzione». A quell’età c’è poco da pensare al matrimonio, ma il giovane corpo sano richiede il suo com­pi­men­to di naturale necessità, analogamente alle regole mensili nel gentil sesso, nell’uomo più che altro espressione di sano comportamento. Genitori, insegnanti e società chiudono ent­ram­bi gli occhi o guardano altrove, come se così salvassero la «morale». Se gli uomini d’onore dovessere esprimersi in tutta sincerità e senza spergiuri, non ci sarebbe nessuno che non abbia cercato di soddisfare in qualche modo questo is­tin­to na­tu­rale. Istinto questo, dato dalla natura o, per grazia, dal buon Dio. Buona cosa, per chi ha saputo ed è riuscito a moderarlo, ne eviterà le pessime conseguenze tanto predicate a scanso per i giovani. Ma – manca, nella solitudine, il completamento dell’ animo. In luogo di un completamento dei «campi delle forze» di due esseri maschili in sintonia, la fantasia interviene quale esauriente completamento al rilascio di natura meccanica-fi­sio­logica. Ma lo scambio di sentimenti manca pure alla visita dei luoghi preposti ad hoc. Ai giovani ragazzi di questo mondo in quello stadio, manca l’amore cameratesco. La tanto dec­la­ma­ta protezione della gioventù nell’età della pubertà porta a poco, se non ad una impaurita e segreta vita di cui ho parlato.

Ogni vita erotica da impaurito è molto più insana di una massiccia soddisfazione fisica. Questo l’aveva riconosciuto da lungo tempo il filosofo nordico G. Hamann (1730–1788), seb­be­ne fosse un teologo cristiano. Nelle «Memorabilità so­cra­ti­che» dove si intrattiene su Socrate e le sue frequentazioni di bei ragazzi, tratta l’argomento malgrado un suo dissociarsene e l’insufficente conoscienza di quei tempi: «Non è possibile per­ce­pire una viva amicizia senza sensualità, e un amore meta­fi­sica pecca molto di più in forze nervose che quello bestiale e carnale.» L’aggettivo «animalesco» sarebbe stato forse più appropriato, in quanto «bestiale» ha assunto una connotazione più brutale; trattasi per di più di cosa che percepiscono tuttil gli esseri viventi, amche quelli non «bestiali», che ricercano esclusivamente semplici piaceri materiali, ma piuttosto un accordo tra esseri simili per rispondere alle comuni esigenze terrene e spirituali. Sono cosciente di toccare un dominio an­co­ra coperto dal filo spinato dell’intoccabilità. Negli ultimi 30 anni si sono comunque fatti notevoli passi in avanti con una generazione che non si accontenta di bussare alla porte, ma le spalanca. E non tutto è corrotto nelle esigenze, spesso in­dis­cip­li­nate, messe in luce dai nostri giorni. Esiste anche una «be­ne­fi­ca» rivoluzione, se la società sopravvive. Malgrado ripetute reazioni, collezione di «paure», il nostro tempo è come se fosse «pronto» al cambiamento.Molto di quanto ci era caro è andato perso e distrutto, l’ho potuto constatare io stesso sulle rovine di un mondo sommerso. Ma doveva pur arrivare il momento, e cerco di dare il mio contributo, che si raccolgano i mattoni di un novo tempo e vengano usati.

La visita in quella casa di terrene malfamate amenità, mi ha tutt’altro che affascinato, me ne restai nel «salone» cir­con­dato da scollacciate signorine che possono anche essersi mera­vig­lia­te dell’intruso di cui si aspettavano l’inizativa. Il mio ani­mo era preso da ben altre immagini di bello, pensando anche ad Agnes. Inoltre ero cosciente dei pericoli per la mia salute. Non voglio esprimere un giudizio sui mei camerati; uno lo co­nos­cevo come una persona fine e sensibile. Alla maggior parte non restavano molte alternative che di subire la dubbia so­lu­zio­ne propinata loro dalla così detta cultura cristiana. Abbas­tan­za strano, che esistevano ed esistono donne ed uomini ben­pen­santi che insistono nel credere e sostenere a questa so­lu­zio­ne decisamente poco sociale ed igienica, quasi fosse una fas­ti­dio­sa necessità. Qui, l’hanno facile, corifei di combattenti per la cultura e la chiesa, a mostrarsi da liquidatori di un mar­ces­cen­te ordinamento sociale e farne tabula rasa... Triste, che ve ne sia bisogno!

Nuovo risveglio

Dopo queste festività studentesche, mi recai a Kosch nella splen­dida tenuta estiva di mia zia, generalessa Olga von Kupf­fer. Kosch era situata sull’altro lato del golfo di Reval, pure sul mare dalla parte di Katharinenthal, con dolci colli lungo la costa. Mia zia ci passava l’estate, a Reval ci viveva dalla di­par­ti­ta (1890) di mio zio. L’estate, ci veniva pure suo figlio, mio cugino Arthur v. K., accompagnato dalla sua prima moglie –, l’ebrea rapita. L’allora pupillo della scuola delle guardie di cavalleria era stato da noi a Jootma e mi fece una gran bella impressione per il suo aspetto elegante ed ne presi il coraggio di portare sulla fronte un ciuffo sulla fronte, invece del solito banale pettinarsi indietro o con la riga. Tale il padre, aveva un senso dell’umorismo; dall’aspetto, lo si poteva immaginare piut­tosto un caucasico o georgiano; aveva gli occhi scuri, ca­pel­li scuri, una barbetta a punta. Dapprima febbe un incarico uf­fi­cia­le presso il governatorato di Jekaterino, ma dovette ab­ban­do­nare il posto a seguito della faccenda del rapimento che in realtà era lui ad aver «abbandonato» la donna. Questa divenne poi cristiana, dando al tutto un tocco di cristianità. Ma questa donna, che ebbi modo di conoscere e di apprezzare, dagli occhi giocanti, se l’è poi data con un suo collega. Che romanzo! Dopo il divorzio, lui sposò una baltica, Ella von Bolt. Divenne con­sig­lie­re e la mano destra dell’ultimo governatore d’Estonia, We­riow­kin. Con la rivoluzione si salvò fuggendo in Turchia e da lì a Ragusa-Dubrovnik, nell’allora Dalmazia appartenente alla Jugoslavia. Anche destini!... la storia della vita di questo ele­gan­te e in fin dei conti cugino tutt’altro che superficiale.

Ma a Kosch mi vennero incontro due altre giovani creature che avevo visto da giovani bambine; Alice e Waldemar von Rennenkampff, nota come Waldy, figli della mia bella cugina Anna v. R., nata v. K. , di cui ho già detto.Il suo uomo si era trasferito a Pietroburgo dopo aver vissuto a Nishni-Nowgorod, in Estonia possedevano la tenuta Konofer. I bambini era in vacanza dalla loro nonna. Di loro scrissi a Eduard: «Mi sono molto divertito con loro. Ma nipote ne ha quattordici, Waldi ne ha tredici. E’ talmente bello, un vero piacere artistico, il solo guardarlo. È il più bel maschietto che conosca, se si può par­la­re di un ragazzo come di un ‹maschio›, come la mamma, l’es­se­re femminile più carino. Erano anche acarini con il cato­li­ciz­zante zio Elisa Maria, anche se lui cercò una volta di con­ver­tir­li.» Io avevo pubblicato alcune poesie con «Elisa Maria von Kupffer-Ertzdorff». Per anni, fui loro più vicino che la madre, mia cugina, di undici anni più anziana di me, con i bambini sette e nove anni più giovani. E dovetti vivere un avvenimento notevole. Come avevo raccontato, all’età di diciassette anni avevo scritto un piccolo epos nei quali celebravo questo mo­men­to quale apogeo della gioventù ed esprimevo il mio sogno-desiderio di venir svegliato, un mattino, da un bacio. Questo deiderio erotico l’avevo rivolto, insoddisfattto, nei confronti di Agi. Ma, un mattino, venni realmente svegliato da baci e guar­dai nei ridenti occhi di un angioletto. Era Waldy!

Probabilmente nessuna idea ordinaria di un tredicenne per portare in questo modo il suo ospite al risveglio. Chiunque cre­da ancora in un grado più alto di destino, tale esperienza deve essere toccata, specialmente come realizzazione di un de­si­de­rio giovanile a lungo apprezzato. Anni dopo, mentre stava in piedi in mezzo ai soldati della guerra giapponese da giovane tenente e senza paura in pericolo mortale, gli indirizzai un poema che inizia con le parole:

 

Mi svegliasti quale animo di Eros

Col fresco bacio mattutino nel buio sonno,

Svegliasti di ricco piacere e pena,

Risvegliasti il dormiente Eros.

 

Anche lui, come Agi sei anni prima, l’avevo d’apprima visto con il suo colletto da marinaio azzurro. A spasso, in brughiera al ma­re, finalmente seduti in collina, scherzando e chiac­che­ran­do. Saltellando a gambe nude, destra e manca, sua sorella Alice lo reguarduì osservando che non stava bene; il ragazzo rispose: «Ma lasciami fare, fa tanto piacere a Elisàr». Pu tardi nel lon­ta­no meridione tra Roma e Firenze, in suo ricordo, un poe­met­to non pubblicato ebbe luce;

 

Come ti amai, non lo potevi immaginare.

Un bel sogno che non svanì

Nel tuo profumo di gioventù

Ma mente ponderata,

Alloquanda innumerevole ti baciai,

Cuore in sobbalzo piacere e sole.

Allargo le mie ali verso sera

Sul colle fiorito,

Come allora, e volo via!

Dove?... In nessun luogo

Qui mi trovo a casa.

 

Questo inesplorato è il Chiaro Mondo come ho disegnato più tardi, già molti a cogliere – nel Santuario Artis Elisarion a Locarno. Waldy ha intuito il mio affetto. In seguito sposò una baronessa Margot di Hoyningen-Huene, cugina di Agnes. Molti anni più tardi ho ricevuto una lettera da lui in cui ha parlato con calore e con la comprensione e ha detto: ero al mio tempo troppo avanti di quelli che mi potevano ben capire, ma avevo l’avevo «messo da parte per maggiore efficacia». Sfor­tu­na­ta­mente, già nel 1931 morì. La vita di sua sorella Alice, che sem­bra­va né a lui e né alla madre in bellezza, è diventata una tra­ge­dia, a seguito della rivoluzione agraria in Estonia. Suo ma­ri­to, signore di Samson Himmelstjerna, fu privato del suo bene e fu preso dalla follia; si trasferì con i due bambini a Königs­feld in Germania e morì presto per una grave malattia al cervello. Così la mia bella cugina Anna di Rennenkampff, che è stata sostenuto a da suo marito e la sua amica di Mjaskovskij e por­ta­ta sulle loro sulle mani, è sopravvissuta al ma­ri­to, alla figlia e al figlio prediletto. Come poeta, ha pubblicato un poema dram­ma­tico «Il racconto del desiderio» e romanzi come «La casa sulla altezza». Il destino del destino in questo mondo, che ho chiamato Mondo del Caos.

Nell’estate del 1894 lasciai Reval e, secondo la mia lettera a Eduard, «guidai fino a Lichten, dove rimasi tutto il giorno e la notte». Quando ho raccontato del bel ragazzo, la baronessa ha detto, metà per scherzo: «Siete completamente innamorata di vostro nipote.» Quello che ho sottolineato è che sarebbe stato una sorpresa e che le creature naturalmente amabili pot­reb­be fare del bene anche me. Poi si dice nella lettera che pro­se­gue: «La mattina dopo ho guidato con loro (Agi e la madre) nella chiesa di Ampel (circa 10 chilometri) e poi siamo tornati a casa (Jootma), dove ho trovato due signorine come ospiti della casa, una dei quali ha 18 anni ed è piuttosto carina. Agi dov­reb­be anche lei venir qui oggi.»

Cito intenzionalmente dalle lettere con la massima pre­ci­sio­ne possibile, per oggettivamente sottolineare come naturale e al di là del genere, come inconsciamente forte era il mio rap­por­to erotico con grazia e amore, senza quella erotophobia morbosa o brutalità ipocrita che letteralmente spopola nella cultura degenerata tra la gente per essere portato in modo che i giovani nevrotici infelici, siano pessimista disperati o in­ten­di­tori di vita disonesti che si adattano all’esterno della società, Chiesa e Stato; o anche ai pietisti fanatici che, nonostante abbiano messo al mondo sette figli, non hanno il coraggio di considerare la loro vita emotiva tutt’altro che impura. Qui è necessaria la purificazione. Sarebbe meglio per una visione pacifica che per un violento rovesciamento.

È molto simile, come con il disarmo e l’uguaglianza dei popoli e delle specie umane in politica. Sarà pacifico rag­giun­ger­lo o saranno necessari eventi violenti? Nel mondo ag­gro­vig­liato c’è disuguaglianza, e solo attraverso la più grande libera comunità sarà possibile attenuare e alleviare i veleni della oppressione. Finché un popolo o una persona rifiuta ancora il modo di vivere dell’altro come indegni o addirittura ver­gog­nosi, sani, gli stati più pacifici sono impensabili.

Dall’estate dei miei giorni da studente, mentre scrivevo a Eduard, mi ero interessato a guardare la gioventù di Lechts. «Agi disse che un tempo ero un essere umano, altrimenti sono sempre semidio.» Questo giudizio fu significativo. Cos’era questa supposta cosa della semi divinità? Che io conservai con calma la mia posizione, mi permisi di non ridurre, estorto con il mio essere e il mio rispetto dello spirito, e che io sapevo come muovermi in una certa atmosfera mentale, di cui, come ho osservato spesso, le signorine parlavano molto meno, come un servizio cortese e semplicemente un trattamento accidentale e scherzoso dello spirituale, che è usato solo come una specie di spezia da salone per fare impressione. A rischio di provocare una piccola boccaccia storta nelle belle signore, devo dire che hanno meno dialoghi mentali o domande mentali da chiarire, meno di per esempio, ragazzi e ragazzi più grandi, se hanno qualche interesse intellettuale. Lo compresero e molto bene gli antichi Greci e quindi conoscevano la loro cultura per dare un doppio fascino e un livello unico che ci manca, in quanto si corre il libero sviluppo della specie umana per una – si pot­reb­be quasi dire la moralità «innaturale» presunta e implicita. A poco a poco ce ne se renderà conto. Qui era la donna e qual è la loro essenza, non ignorato nell’antichità classica, come i mu­sul­mani, e anche tra i cristiani che vedevano la donna fino a quando nave senz’anima del peccato, come tentatrice in quanto Eva fu. Mie care signore, non dimenticate che le donne stavano meglio in una cultura come Sparta, Atene, Tebe, dove ragazzo e ragazzo venivano a godersi la loro anima e cultura. Ma questo non è sinonimo di cosiddetta «omosessualità», come indica questo mostro di parole; Di «horror femmina», nel timore della moglie, questi uomini non hanno certamente sofferto.

Chiunque abbia letto con attenzione la mia spiegazione della vita, potrà capirmi senza difficoltà, come sono più tardi giunto, nel 1900, alla questione «Amor cortese e amici nella letteratura mondiale» e l’indignazione nel corso di un mi­se­ra­bile distorsione del vita sentimentale sia da omosessuali che da anti-omosessuali.

Questo non è accaduto per pietosamente classificarmi nei giri di coloro, molti gli omosessuali, invocanti pietà o «per­do­no»; no, non proprio! Senza una mente chiara che controllasse oggettivamente, sono spesso stato volutamente frainteso. Questo equivoco verrà chiarito sempre di più, ma ha per molto tempo danneggiato me e il mio lavoro. Ques­to è successo non da ultimo da parte di coloro che dovrebbero essere più grati a me, ma sicuramente mi hanno messo per viltà in falsa luce ed hanno cercato in tal modo pulito di lavarsene le mani come si trattasse di un «Alibi». O mi hanno persino taciuto e passato e fatto passare per morto, fossero stati letterariamente auto­re­voli. Fondamentalmente, quelli ed io siamo tipi di persone molto diversi.

Anche il titanico artista Michelangelo era fon­da­men­tal­mente un uomo che soffriva di se stesso e il suo desiderio di potere nelle creature viventi e lussureggianti, forti giovani che espresse e che nulla hanno a che fare con le storie bibliche della Cappella Sistina che incorniciano, ma per lui gli elementi essenziali erano allo stesso livello della Sacra Famiglia sullo sfondo. Grazia diceva probabilmente poco visto che grazia per le anime è bilanciamento armonioso, o per coloro che, anche intenso e a lungo la considerano per l’effetto appagante e ri­las­sante. Questo non può essere detto abbastanza. Per questo motivo, i dipinti di grazia possono esercitare un effetto pia­ce­vole anche sulle donne che sono armoniose; tuttavia, prima di negare le mie opere uomini che hanno bisogno di un pesante supplemento integrante di sensibilità , siano essi omosessuali o eterosessuali, sono impostati per le donne grezze. Questo è l’essenziale, non le caratteristiche, gli attributi sessuali esterni. Questa visione superficiale dovrà essere superata.

Per quanto io amassi Agnes sensualmente ed emo­ti­va­men­te, alla fine, la distorsione sembrava alienante, come è es­pres­sa in lettere e poesie di quel tempo. Dalla lettera del 17 agosto 1894 a Eduard c’è un serio stato d’animo problematico, anche opposto al cristianesimo. Naturalmente, è ancora una volta: «Sono tornato con rinnovata forza alla mia fede positiva». Il musicista Franz Liszt mi ha impressionato molto. Allora sc­ris­si: «Le stesse parole che Liszt disse una volta al disperato Richard Wagner, vorrei fartele udire anche a te: solo ris­par­mia­re e rinunciare ci tiene dritti su questa terra. Portiamo la nostra croce insieme. Ho aggiunto, a mo’ di conclusione i miei versi di allora:

 

Non c’era sciabolatore sul Golgota

Il boia ha colpito la croce.

Il tempo passa, il suo spirito è eterno,

Trasportato nei cuori da innumerevoli attraverso il mondo.

 

Di nuovo ho esortato il mio amico in lontananza a guardare il tutto, non per aggrapparsi all’essere e forse alla disperazione a causa sua, e non perdersi nella follia della limitazione; No, Edy, quello non è l’uomo che vuole il grande. «Attraverso la battaglia alla vittoria, attraverso il dubbio alla fede, attraverso il freddo al caldo!»

Anche qui dissi, poiché dovevo conservare questo amore per Agnes, ma poi aggiunsi: «solo in parte, perché il mio amore per il Dio che io adoro, probabilmente ha fatto il suo.» L’ho già lasciato a: «che non mi disperò se non mi mina. C’è qualcosa di indescrivibilmente grande nell’eternità e nell’opera di Dio nel mondo. Caro Edy, ognuno di noi ha un po’ del proprio dolore in sé stessi. Credere, credere che il sole splenda anche quando non puoi vederlo. Anche tu non dovresti disperare. La sod­dis­fa­zione del desiderio sessuale non è un peccato. Oltre la tomba non c’è libertà né matrimonio».

Un poderoso lavoro virile

Abbiamo affittato due stanze a Charlottenburg sulla Knese­beck­strasse 93. La donna in cui ci siamo trasferiti ci è sembrata una ragazza, figlia della donna più grande, e ci ha assicurato che, con loro, sarebbe stato molto tranquillo. In seguito, si è scoperto che lei stessa, una brunetta minuta che ricorda una principessa Radziwill, era la madre di tre figlie e di un ragazzo che sarebbe poi entrato nella mia vita. In quel momento mi sono venuti in mano alcuni libri, che mi hanno sconcertato e, allo stesso tempo, contraddetto dopo un paio di pagine, e mi hanno indotto a fare un laborioso lavoro letterario, che pur­trop­po è stato spesso completamente frainteso, probabilmente anche a scapito del mio lavoro creativo. Anche se era solo un lavoro secondario, ma, come ho detto, richiedeva molto tempo, poiché esigeva anche molti studi. Dopo la pubblicazione del professor von Krafft-Ebing sui sentimenti sessuali devianti (psicopatologia sessuale) e dopo il processo allo sfortunato poeta inglese Oscar Wilde, è nata tutta una letteratura sulla cosiddetta omosessualità. Per caso, tra le mani un libro di un certo Otto de Joux (pseudonimo), mi ha indignato con la sua vicenda, tutta superficiale, dal trattamento poco virile. Chiun­que abbia letto con attenzione i miei precedenti scritti, si rende conto come abbia pensato già in tenera età di tutte queste cose che sono la conseguenza di uno sviluppo sociale ed etico quasi innaturale diventando problemi difficili, e che naturalmente non lo avrebbero dovuto essere. Conoscevo già abbastanza bene l’antichità, sapevo che l’inclinazione alla bellezza e allo spirito non doveva essere collegata a specifici segni di genere. Sapevo che il grande filosofo Platone, che svolge un ruolo sig­ni­fi­ca­tivo nella cultura spirituale cristiana, nel suo «stato» ammette come ricompensa per l’eroe: di godere la tenerezza di una ragazza o un ragazzo. Anche il tardo sacerdote greco e famoso biografo di Plutarco ne parlarono liberamente. Conos­cevo i sonetti di Shakespeare, l’entusiasmo per gli amici di Schiller, le poesie di Orazio, che studiavano in tutti i ginnasi, e professavano sia l’amore per le ragazze che i giovani belli – in breve, mi irritava e scobussolava che ogni sentimento tenero che non fosse diretto ad un essere puramente femminile era visto in modo unilaterale, esagerato, come una vergognosa degenerazione o disgrazia. Eroi famosi della storia, come Giu­lio Cesare, il comandante Epaminonda, Alessandro Magno e Federico il Grande, erano dannati o lamentosi e si scusavano con le anime femminili che, sfortunatamente, avevano perso la strada in un grembo maschile. L’amore e l’istinto di rip­ro­du­zione, due molto diversi fenomeni della vita, a lungo bloccati in un vano comune. E ora è stata corteggiata, richiesta per carità, la compassione per i poveri, diversi tipi di uomini «femminili». E’stato detto che i poverini avessere reagito di fronte alla donna per «Horror feminae», perché essi stessi erano donne. Dalla mia stessa vita, come ogni lettore attento ora sa, sapevo che ciò non era e poteva essere il caso, che con me non si poteva assolutamente parlare di un’avversione per la femmina, in particolare non di un’avversione verso stimoli sensuali dovuti alla sbarazzina grazia femminile. D’altra parte da quan­do il mio bellissimo nipotino Waldy, mi ha svegliato con un bacio soprattutto deliziandomi con tenera vivacità facendomi capire che si poteva sentire un calore d’amore verso un bel ragazzo, e che questo, contemporaneamente, poteva anche essere ricambiato. Onesto e retto, come esatto dalla mia na­tu­ra, ho deciso di mettere insieme una collezione di letteratura mondiale e della storia e così confutare quelle unilaterali affermazioni contro natura da prove, nell’interesse di una vera cultura.

Anche se c’erano nature estreme e unilaterali che vivevano solo in modo limitato, non era quello che volevo dimostrare. Potrebbe essere il caso, e più tardi sono stato in grado di con­vin­cermi che ci sono degli uomini che non sono affatto inclini alla moglie, e in effetti hanno un’avversione, proprio come ci sono uomini che non provano nulla per i bei ragazzi e giovani sebbene questo sia spesso condizionato dalla repressione etica e dalla paura indotta, morale-religiosa, meno che dal naturale disgusto. Ci sono voluti molti studi in diverse lingue, perché in questo senso non ho trovato quasi alcuna preparazione. Sop­rat­tutto, era anche importante per me dimostrare che l’amore per i ragazzi e i giovani belli non è affatto un fenomeno di de­ca­denza dell’antichità, come maliziosamente si sosteneva. Fu molto presto, dopo la pubblicazione del mio libro, che il fa­mo­so filologo Professore Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff, previa lettura del mio libro, mi ha dato materiale che ha di­mos­trato in modo inequivocabile la mia affermazione. Questi erano rapporti dall’isola di Thera (Santorini), iscrizioni della scuola superiore locale al Tempio di Apollo dal settimo (!) secolo prima di Cristo! – Iscrizioni in parole molto significative. Alla studiosa Hiller von Gärtringen il merito della loro scoperta. Devo anche a Wilamowitz le notizie sulla vecchia teologia ger­manica (a Modena). Il resoconto di Tacito delle antiche tribù germaniche fu letto diversamente su questo punto di quanto non fosse fino allora ritenuto ovvio. Ho dovuto io stesso rit­ra­durre diverse cose dalle lingue antiche, con la collaborazione di Eduard von Mayer. Era, come è evidente dalla storia della vita, animato per anni dall’amore della donna, e ora acconsentiva alla mia più ampia intuizione, dopo che era stato, prece­den­te­mente, precluso alla sua comprensione.

A quel tempo, credevo ancora che le persone – i con­tem­po­ranei – fossero in grado di lasciarsi convincere dalle prove presentate. Qualche tempo dopo, tuttavia, mi resi conto che dovevamo fare i conti con almeno tre generazioni, fino a quan­do un pensiero o una conoscenza veramente nuovi sarebbero stati accettati più generalmente, pertanto circa un secolo. In una generazione, la nuova intuizione può al massimo venire a conoscenza di un determinato gruppo di persone. Ecco com’è, l’ho vissuto più tardi. Il pensiero più rivoluzionario è, più tempo ci vuole. Ho dovuto fare i conti con ciò quando, un anno dopo, verso la fine del secolo, ho interiormente sperimentato il mio nuovo messaggio religioso.

Napoli e Pompei

Il nostro viaggio è andato questa volta con poche interruzioni fino a Napoli, dove speravo di trovare calore, mentre ho dolo­ro­sa­mente presto sentito che molto dell’autentico calore, di calore del cuore, è rimasto al nord. Abbiamo trovato ben presto un paio di camere a Santa Lucia, che ora è così cambiato; ma l’aria mi stancava spesso, e io ne rimasi sotto il peso, nono­stan­te il sud. Frequentemente, visitai il bellissimo Museo di Napoli, soprattutto le stanze con le immagini di Pompei; ho anche copiato un dipinto antico che rappresentava il per­so­nag­gio di Narciso. Le sfacciate frenesie di Napoli non mi at­ti­ra­rono, nemmeno questa volta. Nel giardino pubblico, chiamata Villa Nazionale, dove l’eccellente acquario tedesco ha il suo posto, probabilmente, ha dato luogo ad una vita informale dove certamente molti hanno cercato le loro avventure e trovato il segreto per le loro esperienze, ma non era un mondo per me. Tutto ciò che aveva a che fare con l’amore era sacro per me, come il mio amico Edoardo.

Con la musica, ho fatto la conoscenza di un giovane si­ci­lia­no che ha anche studiato pittura, Giulio B. Parlava spesso con disprezzo dei napoletani, ma lui stesso non era molto più ideale e non corrispondeva alle orgogliose parole siciliane che evo­ca­va. Una volta abbiamo fatto una gita a Capo Miseno e Pompei. Nel frattempo, Eduard e io eravamo andati a ricuperare a Cava, dove l’aria era migliore; si trova a sud di Napoli in una vasta valle verde, sopra una collina in rovina, ed è un rifugio per le giornate più calde, in particolare il quartiere superiore di Cava, dove con mio stupore ho trovato una splendida betulla, come nel nostro nord. È qui che è stato scritto il poema «I nostri misteri»:

 

Come sono le montagne piene di sole, le valli nella notte!

Trema nel verde e ride La breve – eterna beatitudine.

Mentre frusciava tra le cime degli alberi, ho sentito:

le campane suonano da lontano alla gioia e al dolore.

 

Eppure suonava: «La primavera sta arrivando – la vittoria!» Era estate, una bella estate. Ma ho pensato a un’altra pri­ma­ve­ra, a una vittoria lontana dell’anima. La particolarità è che questa fiducia interiore, anche nelle ore pesanti della mia vita, è sempre vividamente venuta alla luce. Già nel 1896 al mo­men­to del più profondo timore: «Non fallirai!!»

A luglio, abbiamo trascorso quasi quattro settimane a Pompei, in modo da esserne a casa ed indaffarati con gli studi di storia dell’arte. A Pompei ero circondato da un vecchio mondo sommerso. Nelle case antiche, che nuovamente non avevano più rapito le loro immagini, tutto è rivenuto alla vita per me, come 2000 anni fa.

 

Il cielo sta sanguinando nella stanza rossa,

Nel massetto del mosaico germoglia il verde

E timidamente il sole cresce all’ombra.

I timidi raggi si muovono lentamente.

 

Perturbante com’era fuori dalle porte di Pompei, quando i coc­chie­ri invadenti, con i loro cavalli brulicanti di mosche e freni, non vi lasciavano tregua, o chiacchieravano le fastidiose guide: appena entravamo nella città morta, eravamo a nostro agio come artisti e studenti dai Liberi Permessi, l’amico mio dopo una raccomandazione del noto studioso Alessandro Chiapelli. Le tracce delle ruote erano ancora visibili a Pompei, iscrizioni di vita fugace erano visibili sulle pareti. Mi sono fermato da­vanti a una piccola immagine rotonda in quella stanza rossa, ho visto un ragazzo suonare il flauto del pastore, come 2000 anni fa:

 

Solleva le sopracciglia scure verso la tempia,

I grandi occhi mi sorridono maliziosamente,

Ora sorride anche gonfiando le guance,

Abbassa il capo, seguendo le melodie principali.

[…]

Conosco la tua canzone, dopo tutto,

la tua canzone è eterna!

 

Lo racconto nelle poesie terrene «Risurrezione». Ho dipinto l’immagine, che nel contempo è scomparsa.

Quando ho visto un semplice ragazzo portare un cesto con le macerie degli scavi e mi ha chiesto, con un timido sorriso, una sigaretta – purtroppo invano, dato che non ne avevo con me da non fumatore – ho dovuto pensare: entrambi tras­por­tia­mo macerie, scaviamo la vita … Dovevo però anche ricordare il lontano ragazzo nordico, che mi ha aperto il suo cuore, senza inganno, senza presunzione:

Amo la tua bocca che chiacchiera la verità, amo il tuo sguardo, che rabbrividisce così maliziosamente. Amo la tua salute, la tua natura maliziosa, dove tutti gli spiriti cupi si riprendono. Adoro la tua naturale risata infantile, il tuo tenero e violento riprenderti.

Un frutto di questa prolungata permanenza fu anche il bellissimo, eccellente libro di Eduard von Mayer intitolato «Pompei nella sua arte», che molti ha deliziato, e di cui si può solo sperare che questo piccolo ma sostanziale libro appaia nuovamente nelle librerie.

Amor cortese e degli amici nella letteratura mondiale

A Pompei ho fatto le ultime correzioni alla grande raccolta di letteratura che avevo già preparato a Berlino e di cui ho già parlato come di un poderoso lavoro virile. Con il doppio titolo di cui sopra ho voluto suggerire che trattasi da un lato di un amore tenero ed eroticamente enfatizzato per la gioventù aggraziata (amor cortese), dall’altro, anche di sentimenti più nel campo della più calda amicizia. Lo spazio limitato non mi permise aggiungere cos’altro avrei voluto, le poesie alle donne che stavano celebrando gli stessi poeti, per unicamente esporre la nota più ricca di tali poeti o artisti. L’introduzione al libro, che apparve anche in una rivista, doveva chiarire la mia in­ten­zione a lettori attenti e pensanti. Potevi aspettartelo. Sfor­tu­na­ta­mente, il libro di Berlino è stato lanciato dall’editore in modo provocante, letteramente gettato per l’annuncio, sul retro di un volantino nel Reichstag.

Come risultato, ho ricevuto una preoccupatissima lettera da mio zio Hugo von Kupfer, capo redattore del Berliner Lo­kal­anzeiger, nel quale mi ha implorato di non far apparire il libro: avrebbe potuto danneggiarmi e provocargli non pochi fastidi. Allora, non ho accettato questo avvertimento. Dal suo punto di vista, aveva ragione. Ma – non avevo affatto cercato il «sen­sa­zio­nale», l’avevo fatto con una coscienza superiore, avevo svol­to un ottimo lavoro, che poi è stato in seguito riconosciuto da elogi da parte di uomini e donne intelligenti e comprensive. Molto più tardi, la grande enciclopedia Meyers menzionò anche che io ero il primo, dal filosofo Platone, per oltre 2000 anni, che giudicava questi sentimenti nei confronti della gioventù maschile in termini culturali ed etici, e non psichiatricamente, criminali o unicamente fisiologici.

Certamente, mi ha creato una pletora di nemici. Inoltre, sono stato spesso frainteso. Onestamente, non si può dire che volevo mettere tutti gli spiriti citati nel claderone di «semp­li­ce­mente omosessuali», anche se questa inclinazione era pre­do­mi­nan­te in alcuni di essi, come in August von Platen e Michel­an­gelo. Come ho detto, solo la stupidità o la malizia potevano affermarlo. Dalla mia storia di vita e dal mio rapporto af­fet­tuo­so con ragazze e donne, inoltre, è largamente dimostrato che non sia possibile accollarmi ciò a cui sono stato sottoposto. Ho anche altrove affermato che sessuale ed erotico non coincidono affatto, la parola «eros» è stata di fatto svalutata, perché Eros = Cupido (amore) e non – sesso (sessualità) è. Questo è una diretta falsificazione della parola.

Ho voluto dimostrare al sentimento umano il suo diritto fintanto che nobile e umano. Allo stesso tempo, il mondo cri­stia­no, o almeno la fede, ne avrebbe avuto tutto da guadagnare. Allora un gentiluomo a Roma osservava: questo libro sarebbe un atto etico, avrebbe, prima di tutto, espresso pura purezza e nobiltà di sentimenti, e tutti dovrebbero esserne grati. Il sociologo e poeta inglese Edward Carpenter (1844–1929) in seguito mi ha visitato a Firenze in occasione di questo libro e mi ha gentilmente dedicato la sua collezione «Joläus». Più tardi, quando una denuncia odiosa e codarda fu portata contro il libro, tre ben noti uomini tedeschi sostennero, davanti al Reichsgericht di Lipsia, il valore etico e scientifico del mio libro: il prof- dott. Franz von Liszt, il famoso insegnante di diritto e nipote del compositore, il poeta Rudolf von Gottschalk e il più grande filologo, il professor dr. Ulrich Freiherr von Wilamowitz-Möllendorff.

Così, il mio libro è stato riconosciuto e finalmente pub­bli­cato come un serio lavoro scientifico.

Quanto poco gli omosessuali abbiano gradito i miei libri ed i miei pensieri è stato dimostrato dal fatto che le mie raccolte di poesie hanno trovato poco favore con loro. Erano più in sinto­nia con i toni lamentosi dell’«Amore Senza Nome di un Sagitta», che come – Anarchico! non ha trovato il coraggio di dare il suo vero nome per non mettere in pericolo, come autore omosessuale, la diffusione dei suoi altri libri e la sua posizione sociale. Non mi interessa togliere il travestimento e la sua maschera da così vile «temerario», anche se so chi è. Più tardi, una giovane donna che apprezzava la mia poesia mi disse: «Sa­reste potuto essere stato più furbo per raggiungere lo scopo». Lei lo intendeva con le migliori intenzioni, ma chi agisce in modo così timoroso e astuto non è un Elisarion. Non ho nulla da nascondere. E le donne, preziose, mi hanno portato amore e rispetto. Sì, una moglie e madre tedesca, figlia di un anziano ecclesiastico del Mecklenburg, Maria Hagelmann, ha detto di aver guadagnato il rispetto per l’umanità dal suo rapporto con me e dalla sua conoscenza del mio lavoro e delle mie azioni, anche ancora dopo che un malvagio uomo di sinistra, un rivo­lu­zionario! professore dell’Università di Hannover aveva cer­cato di gettare. di fronte a lei, sospetti sul mio lavoro. Chiun­que abbia avuto una madre come me, non può pensare alla donna come persona poco lusinghiera. E il cui amore infantile per una ragazza ha trovato così tante espressioni per anni, come il mio in «Vita e amore», dove tutte le poesie d’amore erano destinate alla ragazza … non ha bisogno di creare un «alibi» a protezione.

Perché non mi sono sposato

Il calore del mio sentimento, il bisogno di uno scambio quo­ti­diano, mi avrebbero fatto sembrare, una vita solitaria da co­sid­det­to «scapolo» come insopportabile, anche in giovane età, quando ero meno dipendente da aiuti. In questo senso, l’anno solitario a Monaco di Baviera e, per il resto, settimane corte e isolate sono sempre state una dura prova per me. Oltre tutto, mi piaceva avere giovani intorno a me, sapevo come ben ges­tir­li in ogni momento, e più tardi, ero sicuro che non vedevo l’ora di possedere dei propri bambini belli e brillanti. La grazia fem­mi­nile e la natura gentile mi affascinavano, e il calore del mio sentimento non rimaneva senza passione. Eppure non mi sono sposato. Ci sono alcune buone ragioni che vorrei discutere qui, in modo che non vengano sempre tratte conclusioni sbagliate.

Come ho detto, molto avevo sofferto sin dalla più tenera età, fisicamente, e anche attraverso una mente tenera e pro­fon­da. La vita per me non era assolutamente desiderabile, così come non mi sentivo obbligato a ringraziare mio padre per la mia esistenza, al contrario, per un periodo da ragazzo, sentivo un rancore esternamente infondato nei confronti dell’uomo buono, ma non dovuto, come ho già spiegato, dal sensuale «legame materno». Per la tristezza della mia cara madre, una volta ho maledetto che io sia nato. Altrimenti, non potevo per nulla rimproverare la mia sempre benevola madre, che, come mi disse più tardi mio padre, non condivideva con l’uomo lo scambio fisico di cui non aveva bisogno. Era diventata madre quale espressione d’amore incondizionato per suo marito e madre ideale, anche estremamente tenera. Più tardi, da ma­tu­ro, ho sentito che è davvero una grande responsabilità: mettere al mondo bambini in questa vita, in questo mondo di sof­fe­ren­za. L’idea dell’eugenetica, la generazione di una vita sana e preziosa, divenne presto significativa per me. Mio padre, che si era trovato a soffrire di un incidente di ginnastica per anni, sin dalle scuole elementari, ha assunto morfina per realizzare il suo lavoro e la sua professione. L’intuizione che questo ri­me­dio, veleno anche se iniettato a basse dosi, potesse essere dan­no­so per la prole, avrebbe dovuto, a mio avviso, averlo con­sig­lia­to di non dare alla luce bambini. Anche se più tardi, dopo aver abbandonato questo rimedio ed il fumo, egli è diventato più sano, sono stato pur sempre concepito in quei riprovevoli momenti. La causa era, probabilmente, stata la convinzione che nulla sarebbe accaduto senza la volontà di Dio! …

Il matrimonio dei miei genitori era armonioso, non c’erano mai stati litigi, nemmeno il minimo reciproco rimprovero. La mia nonna paterna era ancora una donna sana ed energica per la sua età; questa circostanza potrebbe aver funzionato bene per lui; ma avevo, come ho detto, una madre tenera.

Per me, con tutte le mie sofferenze e le mie dure es­pe­rien­ze, ho avuto la più grande volontà di fare ciò che ho fatto, in molti studi e in un intenso e ricco lavoro. Una meravigliosa coincidenza mi ha permesso di non morire presto nella lotta per l’esistenza. Devo questo, umanamente, alle cure ami­che­vo­li, che, naturalmente, avrei dovuto ottenere con rinnovate sofferenze.

In tali circostanze, con questa intuizione, sarei forse auto­riz­zato a mettere al mondo nuova vita di dubbia salute? Per me è stata un’esperienza, sì, un «Mondo del Caos»; e soprattutto, senza eccezioni, la Spada di Damocle della morte – per così dire, la spada del giudizio che, alla fine, tutti uccide. Se, come mi ha detto di recente un medico di Monaco. «La morte è la cosa migliore che abbiamo», quindi può essere un senso di acuta intuizione non priva di humour che probabilmente cor­ris­pon­de ai fatti, ma – chi la pensa così, può a sua volta ge­ne­ra­re una nuova vita?! – Soprattutto se, come medico, sai che questa liberazione spesso ha luogo unicamente dopo lunghi tormenti nella prigione della malattia … Ci sono abbastanza persone, nell’esuberanza del desiderio, senza coscienza pur­trop­po da incoscienti, che assicurano che questo tipo di valore di uomo sopravviva, sì ancora più abbondantemente, quindi guerre per compensarne il numero sono necessarie. «Spesso si sente dire: le persone mentalmente più evolute sarebbero in grado di fornire una progenie più valida e preziosa. I figli e i nipoti di uomini importanti, tuttavia, non sono una prova del successo di questo compito. Anche si dice: sposatevi! in modo da non essere soli e indifesi nella vecchiaia. Ma quanti padri o madri solitari ho incontrato nella mia vita, i cui figli hanno vissuto la loro vita altrove.»

Molti di coloro che vivono e non testimoniano men­tal­men­te e spiritualmente e rappresentano che un peso e un’inibizione della vita, non avrebbero manco essere generati nella paura, penso agli idioti e agli alcolizzati o ai molti con l’ereditarietà della sifilide!

Per quanto una famiglia potesse sembrarmi felice, pensieri seri mi impedivano di realizzarla, e giustamente, di creare una prole. E questo, anche se ho il più vivo interesse per la ge­nea­lo­gia, i miei avi e il successo del mio lignaggio. Inoltre, ho sentito il richiamo del compito della mia vita, che esigeva sempre più il suo diritto e la mia dedizione. Ad una famiglia che lotta per l’esistenza mentre adempio il mio compito interiore, non po­te­vo pensarci all’età di 27 anni, anche perché non ne avevo re­go­lar­mente le indispensabili forze. Ho spesso faticato a far fronte a tutte le mie preoccupazioni e sofferenze, come si sa grosso modo dalla mia vita. Inoltre, nel mio compito di riformare la vita, dovevo fare i conti con l’ostilità dei dissidenti, più segreta e potente, quindi non potevo promuovere il dovuto favore so­ciale per una famiglia. Anche la figlia di un missionario pro­tes­tante, noto scrittore, mi ha detto che i missionari non dov­reb­bero essere sposati.

Avrebbe potuto essere solo una donna ricca, e io cer­ta­mente non la pensavo così. Inoltre, una donna che sposa uno giovane ha il diritto di comportarsi da moglie e da madre, in modo da dare vita ai bambini. Ci sono eccezioni a questo tra il sesso femminile, ma sono rare, e talvolta manca quel calore del sentimento che amo ed ho amato.

E sono diventato un amico spirituale e intimo di uno che, avendo una volta superato l’impulso di andare lontano, mi è stato vicino con cordialità, ricca capacità spirituale, valore e cura fedele, così che, nonostante tutte le difficoltà per molti aspetti, stava vicino a me e ho persino potuto creare la mia grande vita artistica e intellettuale, lontano dalle pre­oc­cu­pa­zione per il pane della vita di tutti i giorni, perché ad ogni mo­do ci sono state battaglie che non ho evitato.

E più avanti: così tante donne sono entrate nella mia vita in seguito, che mi hanno aperto i loro cuori e che potevo dire loro qualcosa, il che sarebbe stato meno vero se avessi io stesso fondato una famiglia. Ho anche potuto dare amore e ricevere amore.

Penso che tutto ciò chiarisca molto la faccenda. Perché ho scritto questo capitolo come se mi mi volessi scusare? Quindi, non solo affinché non persista l’idea completamente sbagliata, avrei avuto persino avversione per la femmina (anche «horror feminae») o per la paura della donna. Un’umanità più ricca vive in me e nel mio lavoro che in uomini così unilaterali, che sono inclini solo all’altro sesso o solo alla propria inclinazione emotiva e istintuale. Per questo insieme di motivi, come ho detto, rifiuto per me la parola «scapolo» perché fino ad ora non ho mai vissuto per me solo, ma sempre in comunità, a contatto con persone che mi conoscono; dal 1922, inoltre, in una cor­dia­le unione con una giovane donna seppur nata da una fortunata coincidenza. Calda, l’umanità più forte è la migliore. Qualcosa dato dall’umorismo, da allegria nel senso più alto, come mio padre li aveva posseduti, lo potevo ancora preservare, no­nos­tante tutte le incomprensioni e sofferenze. Speriamo, sino alla fine.

La via dell’amore

 

Traduzione Bruno Ferrini

Indice dei contenuti

Prefazione dell’editore

 

Verità o poesia?

Sul meridiano di Delos

Eredità materne normanne

Eredità sprituali paterne

Il lato baltico

L’ultimo secolo dei miei avi

I motti della mia vita

Nascita – un sacrificio al piacere

Mio padre – il saggio dal cieco credere

Bambino – nel mondo del Caos

Mia madre – amore tollerante

Zia Mathilde von Maydell

L’amica spirituale del bambino

La prima morte

La scuola a casa

Baltici – non russi

Fuori, nella vita nemica

II primo giorno di scuola!

La prima magia della scena

Un allegro – raro cristiano

Carlo I. Stuart?

Rinuncia alla festa dell’incoronazione

Il trasloco nel castello di Jootma

Nuovamente a Reval

Primi assilli religiosi

Gravi esperienze

Genitori e figlio

Megalomania russa e democrazia

Il secondo decesso

Il nome, significativo e valido

Quando i ragazzi maturano

Erotico – non sessuale

Agi, il primo amore

Il giubileo di mio padre

Nobiltà d’animo

La signora povera

Tra Jootma e Lechts: Elisar e Agi

Trasformazioni

Ultimo anno di scuola a Reval

Io e il mondo russo

Pensieri che precedono

San Pietroburgo, la vecchia imperiale

La lotteria dell’esame

Una coincidenza: Eduard von Mayer

Sant’Anna in San Pietroburgo

Un anno pesante

Davanti alla decisione professionale

L’università e l’idealista

Amore, dolore e follia

Nella famiglia del pope russo

Il solitario studioso di giurisprudenza

Problemi amorosi

Il giovane pensatore e dottore delle anime

Davanti alla grande decisione

La miseria della gioventù maschile

Nuovo risveglio

Verso il destino

L’emigrante

Accanto alla morte

Falsa santità

Autoidentificazione

Dal carnevale

Oltre le alpi

Primo incantesimo meridionale

Melanconia a Monaco

Da Monaco a Estonia

Alienazione

Nostalgia per la lontananza e amore vicino

Tempi universitari berlinesi

La morte di mio padre

Sorrido a questo mondo di lacrime

Tragedia della sincerità

Minimo nella vita

Legame vitale e viaggio in Italia

Un intermezzo – pensieri

Nell’estate tedesca

Un poderoso lavoro virile

Un piccolo genio

Serata a Spielhagen

Risveglio amorevole

Napoli e Pompei

Amor cortese e degli amici nella letteratura mondiale

Dal meridione al Settentrione, dal Nord al Sud

Un inverno a Roma

Il nuovo Credo

Un nome come te – specchio sincero

Riscatto e non

Ritmo delle lingue

Meravigliose forze della vita

Fino von Grajevo

I destini delle mie tragedie

Berlino – Cure – e vivaci settimane di vacanza

Luminose settimane sul lago di Ginevra

Un altro tentativo a Berlino

Perché non mi sono sposato

Pesanti prove

A proposito di ricupero nella vita amorosa

II compito dell’Europa! – o il tramonto

Firenze: una tappa della mia vita

 

La via dell’amore

John Henry Mackay

John Henry Mackay pubblicò dal 1906 al 1926 sotto lo pseudonimo «Sagitta» sette volumi di poesia con il titolo «L'amore senza nome», «Die namenlose Liebe». John Henry Mackay era un amico di Rudolf Steiner per un po’.