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Valori della vita – Le favole delle scienza

Compito ingrato ed apparentemente capzioso, il voler con­fu­tare le teorie della scienza moderna. Ma tant’è, questa con­fu­ta­zione è finalmente diventata necessaria. Questi insegnamenti fondamentali sono come i gatti grazie ai quali i persiani hanno sopraffatto gli egizi in quanto essi non osarono contrapporsi agli animali da loro ritenuti sacri, e portati, con intelligente calcolo strategico, dall’esercito persiano. Questi spauracchi sono le teorie moderne che vogliono eliminare qualsiasi nuova visione. Il lettore che in mia compagnia vuol osare questa impresa dovrà ingoiare parecchi rospi, specialmente nel II. capitolo. Se gli spautracchi non spaventano, salti pure il capi­tolo o lo riprenda che alla fine. Spero che questi capitoli e volumi, prima o poi, diventeranno inutili.

Chimica e favole? Suona quasi come impossibile? Eppure! Alllorquando Lavoisier – il padre della chimica moderna – scoprì l’idrogeno nell’acqua, ne ha informato l’accademia di Parigi. E venne contestato. Se fosse vero, e l’acqua fosse de­com­po­ni­bile, non ci sarebbe più nulla da fidarsi e da prendere per verità. Già Empedocle con la sua teoria dei quattro ele­men­ti avrebbe esclusa la possibilità di scindere l’elemento acqua. Detto, fatto. Chi era costui, che dopo 2300 anni, dava ancora più peso all’opinione datata che ad una fresca novità? Non uno qualunque, un topo di biblioteca, ma un personaggio stimato quale naturalista, inventore di un eccellente strumento di misura, Baumé. Questo precedente, si ripete ogni qual volta si presenta del nuovo che trova scarsa considerazione anche da parte degli addetti ai lavori. Non quadrano con il sistema di spiegazioni correnti e vengono semplicemente negate. Quanto i preconcetti possono influenzare persino osservazioni obiettive, anche di gente sperimentata! In effetti, non esclusivamente vista, né udito ma tutta la persona­li­tà del ricercatore si affaccia alla natura. Ma sono in presenza di una ricca e viva per­so­na­lità, questa è in grado di scoprire nuovi fatti, nuove con­nes­sio­ni. Poi, si svela un ancor maggiore ordine delle cose. E’ così che sorse la geniale ipotesi di Darwin.

Le ipotesi sono l’essenza della scienza. Le ipotesi non sono che le antenne che la farfalla dell’anima rivolgono verso la verità. Senza nuove ipotesi, la scienza diventerebbe un affare di ipotesi superate. Quando Lavoisier e Baumé si contesero, non è che si scontrarono diverse fattispecie. Nessun fatto speri­men­ta­le si scontra con uno alternativo. Lo scontro fu tra due ipo­tesi, una vecchia ed una nuova. Oggi, anche l’ipo­tesi di Lavoi­sier è superata, seppur diventata argomento di fede per molti chimici. Ma anche Baumé credeva in Empedocle.

Ipotesi – Favola – Menzogna! Annuncio una via non an­co­ra percorsa, va bene anche se è un raggiro. Percorro questa via giornalmente perché mi aggrada, questo stà bene, a me. Bar­ri­co la via a chiunque altro la voglia percorrere avendo fretta ed obbligo ognuno a seguire la mia via, quello non va bene.

Quello che i germani decantavano nell’epos di Brünnhilde a proposito di inverno, primavera, terra è oggi favola da Cene­ren­tola – una volta, era modo di vedere e credo, oggi sem­pli­ce­mente un gioco seppur ricco di profondi significati. Ma anche gioco, giocherellamenti, sobrie confusioni, fin troppo spirituali favole, sono teorie alla base delle moderne scienze naturali.

I. La favola chimica

Baumé se la prese con la scissione dell’acqua. Benché i chimici, riconosciuti artisti nelle «separazioni», si fossero cimentati nello scindere l’elemento «terra» in innumerevoli parti, senza per questo affondare. L’oppositore era indotto a questa posi­zi­one non tanto per motivazioni fisiche, ma piuttosto sospinto da un istinto social-conservatore contro gli innovatori e sov­ver­ti­to­ri! Lavoisier non fece altro nella fisica che quanto il suo tempo rivoluzionario stava facendo nel sociale. Le vecchie caste si risentirono allorquando portò ad un posto d’onore, per tradizione dovuto ai quattro vecchi elementi, il popolo della settantina di nuovi. Ma Baumé avrebbe dovuto stare zitto. Che stava facendo la rivoluzione? Non fece altro che accelerare i tempi all’Ancien Régime, lavorava esattamente, quanto gli assolutisti vari Rois Louis, alla statalizzazione dell’uomo. E Lavoisier? Aveva portato a fiorire il peccato originale della vecchia teoria, il suo «elemento» è morto e sepolto.

La chimica moderna definisce come elemento un materiale non scindibile in ulteriori componenti, L’acqua non era per­tan­to un elemento. L’aria non è che un miscuglio. La terra è com­posta da più sostanze. Fintanto non scisso, un corpo può essere ritenuto essere un elemento. Che cosa non è un elemento? Scindibile. Ma è combinabile. Come ciò avvenga, è carat­te­ris­ti­co per ogni singolo elemento. Come, più precisamente, in quali proporzioni ponderali. Ogni singolo elemento ha la sua propria caratteristica peculiare. Questa constatazione ha fatto di Lavoisier un immortale. Ma i chimici si disputavano sul fatto se fosse elemento per esempio il ferro od il suo ossido. Il filo­sofo Stahl sosteneva che la ruggine (l’ossido di ferro) assieme al flogisto (il fuoco) creasse il ferro metallico. A questo punto, Lavoisier prese la bilancia. Prese del mercurio, lo pesò e lo scaldò. Ripesandolo, si accorse che il peso era aumentato, pertanto qualche cosa si era aggiunto. Quell’aggiunta proveniva dall’aria. L’ossigeno aveva creato assieme al mercurio, un ossido. Analogamente al ferro si forma un ossido; idrogeno con ossigeno, acqua. Inoltre la quantità di ossigeno che si legava ai metalli restava costante in proporzione. Circa dodici parti di mercurio di legavano ad una parte di ossigeno. Per ogni elemento vi erano proporzioni caratteristiche e diversi per i vari elementi. Da ciò si lascia caratterizzare come tipicamente per ogni elemento questo rapporto. [Legge di Lavoisier-Proust-Dalton]

* * *

Il peso combinatorio è un dato di fatto. Grazie ad esso si deci­frò la confusione degli elementi, furono scoperti nuovi elementi, preparati nuovi composti. Una prestazione del XIX secolo di cui andar fieri.

Contemporaneamente si modificò il concetto di peso com­bi­na­to­rio in peso atomico. E qui inizia la prima favola delle scienze naturali.

Che significa il peso combinatorio? Ciò vuol dire che il rap­porto dei pesi appare identico, indipendentemente di quan­to spesso la rozza mano dell’uomo intervenga a separare o com­bi­nare. Ma il peso atomico afferma: l’atomo di un elemento pesa realmente tante volte di più di un altro. Ogni atomo di uno e stesso elemento ha peso assolutamente identico; tutti gli atomi di un elemento sono identicamente grandi e dello stesso peso. Peso atomico vuol dire: uguaglianza assoluta degli atomi di uno stesso elemento. E qui casca l’asino.

Prima di tutto i pesi combinatori non sono semplicemente cifre tonde, Ossigeno 15,88, Solfo 31,82, Ferro 55,6, Sodio 22,88. Poi i valori cambiano a seconda delle ricerche. Sono un valore medio di moltissime osservazioni e si distinguono per minime differenze. Dovrebbero essere imprecisioni nelle misure. E va bene. I nostri apparecchi sono grezzi, ma d’altra parte non sono sufficienti a dimostrare l’uguaglianza assoluta degli atomi.

Proseguiamo: Anche le medie non sono precise. Ma quanto preciso riusciamo a misurare? La miglior bilancia, al decimo di milligrammo per 2 kg. Ma avendo a disposizione che spesso solamente un grammo di sostanza e pesare al 0,000 000 05 g opera ogni possibilità. E 0,000 000 05 sarebbero troppi per un atomo, l’inafferrabile piccolo tra i piccoli. 1000 quintilioni di atomi di idrogeno trovano posto nel volume di un piccolo dado da gioco. (1 con dietro 33 zeri!). Sarebbe come tentare di misu­rare particelle solari in funzione di diametri terresti e sos­te­nere che sia dimostrata la loro uguaglianza. Come non si possa dimostrare l’uguaglianza degli atomi è altrettanto possibile prendere in considerazione la loro diversità. Sulle carte geo­gra­fi­che le città vengono rappresentate in funzione dei loro abi­tanti. Lo stesso segno per città che si differenziano per migliaia di abitanti. Altrettanto fanno i pesi combinatori che rap­pre­sen­tano atomi seppur leggermente diversi tra di loro. E le reclute di una stessa annata, hanno la stessa età – anche al secondo? Ogni ora di nascita comporta 3600 secondi, ogni mese sui 3 milioni. Eppure, per le autorità militari, tutti coetanei. Fossero gli atomi uguali fino al millesimo, dal 1001esimo potrebbero iniziare differenze, non esiste la cifra massima e nemmeno la minima, la più piccola. Qualsiasi determinazione assoluta di qualsiasi cosa è impossibile. Pertanto diventa scientificamente impossibile, affermare l’uguaglianza degli atomi. Caso mai diventa scientificamente possibile se non auspicabile, il con­si­de­rare una loro differenza.

Nessun umano, nessun animale, nessuna pianta né cris­tallo uguaglia un altro. Ciò non di meno li ragruppiamo in «specie» con le caratteristiche in comune che prendono il sopravvento sulle caratteristiche individuali. Ciò non di meno l’individuale sussiste. […] Gli elementi potrebbero presentare una graduale individualità simile alle «specie» degli organi viventi.

Ma il peso combinatorio costante? Quale elemento pratico, dove l’infinitamente piccolo poco conta. Il rapporto tra cir­con­fe­ren­za e diametro è una cifra infinitamente lunga ma si lavora tranquillamente con 3,14159. La luce violetta ha 667 bilioni di oscillazioni al secondo. Ma anche se ne avesse che 666,999 999 999 999, l’occhio percepirebbe comunque e vedrebbe come viola. Il Monte Bianco, grande montagna per piccoli uomini. Ma su di un globo dal diametro l’altezza di un uomo, il monte rappresenterebbe un rigonfiamento di poco meno 2/3 di mil­limetro. La luna più accidentata della più impervia zona alpina, eppure la vediamo come luminoso specchio del sole.

La teoria del peso atomico e degli atomi «uguali» è una rozza storiella. La differenza individuale degli atomi è alta­men­te probabile. I 350 000 chilometri fino a noi fanno scomparire le differenze. Le stelle «fisse» cambiano le loro locazioni a velocità enormi, ma le costellazioni hanno da sempre man­te­nu­to le loro forme, Nessun astronomo non può credere alla fissità delle stelle. Altrettanto, non può essere preso sul serio il ri­cer­ca­tore che soppesa gli atomi e li indica come uguali.

II. La favola della fisica

La fisica moderna (Mayer, Carnot, Helmholtz), ruota attorno al concetto dell’energia. Questa teoria dell’energetica è per pic­co­la parte un fatto, favola per una gran parte.

Il modesto secondo principio parla della trasformazione dell’energia: tutte le forme dell’energia non sarebbero che forme di una defluente forza elementare. Il gonfiato primo principio predica la conservazione dell’energia, più esat­ta­men­te delle quantità di energia: la somma delle forze presenti è immutabile, mai la creazione di nuove forze.

Innegabile: la forza circola. L’energia solare passa alle piante. L’energia solare dalle piante nutre gli animali (A queste considerazioni è collegata la nuova terapia nutrizionale ener­ge­tica dello zurighese dott. Bircher). L’energia solare nel ma­te­ria­le vegetale riscalda le acque. Il vapore muove gli stantuffi delle macchine. Macchine producono energia elettrica. L’elet­tricità muove automobili ed emette luce solare dalle lampade ad arco. […]

Tutti i processi esterni rappresentano un deflusso di forza. […] Tutto avrebbe dovuto concludersi, quanto incominciato.

La forza si lascia seguire e misurare. Non scompare. Ma si svalorizza. […] Tutti i processi esterni sono un defluire di forze. […] Tutto quanto ha avuto un inizio, dovrebbe già essersi concluso. […]

I fatti del secondo principio dell’energia costringono sulla scorta della realtà a supporre che forza si sia formata ex novo, un miracolo non visto di buon occhio dal primo principio. In realtà, i due principi si elidono vicendevolmente. Questa teoria «da favola» ha strombazzato essere di valore universale una piccola sequenza di fatterelli e considerato il mondo come se fosse una macchina.

In ogni istante ed in ogni luogo, la forza deve crescere individualmente. Gli atomi devono rappresentare la sorgente di questa costantemente nuova forza; gli atomi quali potenze individuali. I fatti sperimentali legati al peso combinatorio sono compatibili con l’esistenza di atomi diversi. La fattualità del degrado della forza, obbliga, senza scampo, alla realtà il concetto di individualità dell’atomo quale sorgente di forza – e questo in barba alla favola della conservazione dell’energia.

In ogni atomo esiste un actinide di forza preponderante. E’ in concorrenza con le fluenti forze del «milieu». La sua forza caratterizza la forma dell’atomo. L’attinide superiore di un gruppo di atomi determina ancora il collegamento degli atomi, la loro forma cristallina. Materializzazione quale forma pri­mi­genia della creazione.

Cristallizzazione il secondo stadio della formazione in­di­vi­duale. Terzo stadio, crescita ed organizzazione. Potenza in­di­vi­dua­le che vive in ogni forma, nel cristallo, nella cellula, nel vegetale, nell’essere animale, umano. Forma è l’adem­pi­men­to spaziale dell’individuo. Forma è l’accordo delle potenze e delle forze in legami individuali. Niente di simile nell’universo. Cristalli di un’acqua madre crescono diversamente, piante di una specie e nello stesso terreno si distinguono indi­vi­dual­mente. Non esiste cosa morta. In ogni cosa vive un’anima creativa e coinvolgente. Non l’indivisibile meccanico atomo «identico» alla mercè della povera energia esterna è il nocciolo del mondo – basta con questa speciosa favola! Fattualità all’origine, eternamente non smembrabile, sorgente e creativa indi­vi­dua­lità.

III. La favola della psicofisica

L’individualità quale attualità fisica all’origine. I rappre­sen­tan­ti dell’energetica riterranno questo approccio una ricaduta nella fede del selvaggio, che associa ad ogni cosa un’anima. Oppure la chiamerà «autosuggestione», ar­bit­ra­ria im­ma­gi­na­zione. Infatti, la scienza non riconosce alcuna arbitrarietà alla natura. Infatti, il determinismo insegna che per ogni effetto dev’esserci immanentemente una causa. Ogni processo nasce da forze presenti – questo predica il primo principio en­er­ge­ti­co. Il severo senso di causa ed effetto della fisica capitola comunque davanti alla con­sa­pe­vo­lez­za. Qui si avrebbe a che fare con «arbitrarietà», fenomeni senza necessità. Visto da più vicino, tratterebbesi della spodestata libertà del volere che troverebbe imbarazzato rifugio nell’arbitrarietà della con­sa­pe­vo­lez­za. Autosuggestione quale «asylum ignorante» della scienza moderna. […]

Se la quintessenza della consapevolezza è l’individualismo, come ha potuto essere contestato? La carenza di un sentimento di personalità non dimostra forse che l’individualità si lascia esprimere ed è pertanto esternabile?

No. Il suicidio è rottura con la vita ma comunque un’a­zio­ne della vita, seppur naufragante. Carenza di un sentimento di personalità non è che degenerazione dell’individualismo. Il più spersonalizzato membro di un gregge si ritiene essere una persona a fronte di altri individui. Ma si sente dipendente da loro. Ad una comunanza con loro vien posto un blocco dalla sua debole personalità. L’individualismo dell’uomo impersonale è dato dalla sua schiera sociale. La sua consapevolezza è socia­lis­tiz­zata. Il suo sentimento di personalità è talmente com­pro­mes­so ed indebolito tanto quanto il suo valore dinamico-in­di­viduale. La consapevolezza può anche essere ricuperata.

Si soggiace ad una conspevolezza socialistizzata sin tanto che se ne à dipendenti internamente. Pertanto si riflette nel grado, valore e sviluppo sociale dello spirito del tempo. Ma anche la scienza fa parte dello spirito del tempo. Fatto sta che che questa costrizione resta ignota ai coinvolti. Con pieno convincimento viene espresso il pensiero socialistizzato, come se fosse assoluto. Pertanto si impone ancor maggiormente e rinforza la socialistizzazione. La scienza ha parlato, congrega infallibile! Il selvaggio ha intravvisto nella natura demoni nemici o bonari. La cultura emancipata permise di disquisire su cose, forze, proprietà. Il fisico moderno dalla socialità del megastato parla di leggi della natura, lavoro, economia ener­ge­tica. Se l’energetica fosse esclusivamente lo specchio della condizione sociale del tempo, avrebbe ragione di negare l’in­di­vi­dua­lis­mo, l’individuale forza di crescita, la viva diffe­ren­zia­zione degli atomi. L’uomo dev’essere che atomo sociale, la sua consapevolezza esclusivamente il pragmatico eco delle visioni socialistizzate, le sue rese che nel lavoro. Questo stato d’animo domina l’intera economia nelle sue forme più prevenute e preconcette. Particolarmente, la moderna storia della creatività spirituale soffre di questa follia dell’impersonale, dell’«ab­ban­do­no», della «imitazione», del «milieu». L’energetica trasferita alla vita spirituale. Ci possiamo chiedere come mai, malgrado Darwin, da primi uomini-scimmia non ci siamo ridotti a cretini totali! Incomprensibile!

Davvero, se esiste una ridicola autosuggestione, questa è rappresentata dalla pretesa ad obiettività e logica della scienza moderna. La scienza, nel pratico, produce parecchie cose va­li­de. Sarebbe irragionevole pretendere da lei una teoria comp­le­ta, una visione del mondo. Ma, ciò non di meno, la scienza non deve permettersi di credere di averne fornito una.

IV. La favola biologica

La scienza moderna, con le sue teorie fondamentali, una rag­na­tela di favole. Ma abbiate un minimo di com­prensione! Le socialmente sbriciolate individualità non sono in grado di com­prendere in quanto frammenti della comunità. Per tanto: quanto meno conta, vale e può l’individualità tanto più essa si si ritrova a coprire con il proprio punto di vista quello dell’at­tua­le stato della realtà. O meglio: tanto più l’individualità è sommersa nella massa, altrettanto la realtà deve adattarsi ad avvicinarsi a questo punto di vista. Se Procuste avesse deca­pi­tato i suoi ospiti, questi avrebbero trovato posto nel suo letto. Incremento della massa di umani ed incremento delle cifre d’affari, obbligo alla riproduzione, obbligo al lavoro – questi i limiti della verità moderna. So questo può dichiararsi verità. Ukas, zaresco editto di sua maestà la Natura.

 

«Per la Natura. la specie è tutto: la specie, la totalità. L’individuo è di interesse esclusivamente quale elemento della totalità … Gli individui appaiono avere un unico scopo: il mantenimento della specie, senza pertanto preoccuparsi del singolo. Questi lavora che per la specie … l’individuo soffre, effettivamente, ma la specie è salva: questo è quello che importa …»

 

Così, all’infinito, il leitmotiv della biologia moderna.

Veramente, la natura si preoccupa estensivamente per la specie. La femmina dell’arringa depone fino a 80 000 uova, la passera di mare fino 800 000, il rombo gigante persino 8 000 000! Quale mare sarebbe in grado di accogliere una tale ab­bon­danza se tutte le femmine arrivassero a loro volta a deporre. Una betulla di circa 40 anni sparpaglia circa 30 milioni di semi. Quale bosco in 100 anni! Epilobium roseum potrebbe ricoprire completamente il pianeta in 5 anni. Un afide in 10 generazioni darebbe 1 trilione di successori – una massa cor­ris­pon­dente al triplo del peso di tutta l’umanità messa assieme. Dalla massa di progenie di un batterio di potrebbe, nello spazio di tre giorni, gettare un ponte verso la luna, dallo spessore della nostra terra! Fatto stà, la natura ha dato alla specie una infinita forza di espansione.

Ma dov’è questo ponte di batteri verso la luna? Dove sono i battaglioni di pidocchi? Dei milioni di betulle, un unico albero? Come mai, al mercato, il rombo gigante è così caro?

«Sì bambino» disse la nonna mentre filava – «questa è la saggezza delle natura. Le specie non sono ugualmente in pe­ri­co­lo. Pertanto, quelle che lo sono maggiormente devono ri­pro­dur­si di più. Così si salvano almeno un paio di giovani a diven­tare adulti».

Dunque, le specie sono in pericolo. I germi possono ap­pas­sire, soffocare, gelare, i giovani vengono divorati. Ad una specie, l’esistenza di un’altra importa quanto al macellaio l’ani­male da macello. Le piante si contendono aria, luce, terra e acqua. Gli animali fanno man bassa dei vegetali e si sterminano tra di loro.. E’ pertanto buona cosa per la specie più forte, che la più debole si riproduca così. Nessun rischio di morire di fame. La saggia natura ha messo tavola per tutti.

Chi ha disposto così saggiamente il tutto?

«La» natura.

Certamente: alga e fungo pacificamente uniti a lichene possono rallegrarsi della previdenza. Anche al pidocchio non può spia­cere che la formica gli succhi un po’ di lattice apiccicoso. Ma che un biologo, trasformato in uccellino, sappia meravigliarsi di fronte alla saggezza di uno stomaco di serpente, beh, pone degli interrogativi. La «natura» del volatile con la «natura» del rettile non si trovano d’accordo. Chissà se le nature delle specie perite, centinaia di migliaia, sono finite con tanto piacere? Se per la natura non importa che la sopravvivenza e la continuità della specie, perché ha lasciato perdere queste qui. «La» natura ha pertanto una volontà perlomeno incerta, e tante quanto sono le specie tra di loro nemiche. Contro la decisione della volontà di una specie ce n’è una qualche altra che interpone appello. Ci sono almeno altrettante nature che esistenze di specie. Non è dunque «la» natura che si preoccupa del man­te­ni­mento delle specie. Caso mai, tocca alla singola specie di non soccombere.

* * *

Che contraddistingue una specie? Una propria forma, propria struttura interna, propio modo di vita. Ma chi non ha forma, se non l’individuo? L’individuo è il portatore della specie. La specie deve fare affidamento sull’individuo. Delle peculiarità individuali dev’esserci la potenzialità del mantenimento della specie. E’ la specie in un individuo che lo sospinge a rip­ro­dur­si? Che ne sa il pidocchio dei pericoli, che incombono sulla sua «specie» e che rendono auspicabile una intensa fertilità? Ques­ta intelligenza da pidocchio sarebbe troppo da favola. Fat­tua­le è esclusivamente la concupiscenza individuale.

L’individuo vuol vivere. Vuole imporsi nel mezzo di forze esterne e vuol crescere. Il suo contingente è messo in pericolo da una modifica d’actide diventato metabolismo. Il disturbo interiore dell’equilibrio  si espleta in fame e sospige al movi­mento, alla crescita.

La struttura dinamica cambia continuamente. Resta co­mun­que continuo se l’actide superiore, per ogni che sia sfug­gito, ne congloba un altro. E la struttura cresce in quanto l’actide superiore cresce ed è in grado di associarsi sempre più actidi minori. Incommensurabilmente minuto nell’atomo e cristallo, questo processo diventa notevole a livello cellulare. Nella cellula, la struttura abbisogna di una ricca diffe­ren­zia­zione. Molti e attivi actidi devono essere gestiti da un actide notevolmente superiore. Le forze di richiesta e d’assimilazione dev’essere notevole ma comunque permettere un vivace scam­bio. E pertanto il loro campo d’azione si espande visibilmente. Se potessero, farebbero loro tutto il mondo. Anche questo sarebbe mantenere la specie, immortalare una forma di vita. La «specie» – compresa dinamicamente – sarebbe realizzata anche da una simile cellula gigante.

Ma potenza e azione di ogni actide è misurato indi­vi­dual­men­te. Si annunciano antagonisti, all’inizio nel nucleo della cellula. Decaduto, nel nucleo e nei luoghi più disparati della cellula possono raggiungere la preponderanza se hanno suf­fi­cien­te potere irradiante. Si creano particolari associazioni, come si formarono staterelli nel Sacro Romano Impero, quando l’imperatore non era presente. Tutta la cella si divide. Non per istinto di riproduzione ma per forza creativa di forze indi­vi­dua­li preesistenti. Non è la specie a riprodursi, in quanto l’in­di­vi­duo non avrebbe alcun valore, ma in quanto il numero degli actidi è in crescita e si formano continuamene nuove confi­gu­ra­zioni, non appena si crea l’occasione per una loro creazione.

 

Dal calice del regno spirituale

Gli schiumeggia l’eternità

Schiller

Nei semplici organismi unicellulari la suddivisione cellulare e l’inizio di un nuovo individuo sono un tutt’uno. Dove agisce un actide più robusto, la subdivione cellulare è un fenomeno di rilevanza secondaria.

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La nuova cellula non si stacca dalla più anziana. Le cellule restano assieme. Sono pluricellulari, specie più elevate.

L’organismo monocellulare è effettivamente immortale. Può essere distrutto che meccanicamente. Una cellula può rappresentare una specie in eterno. In individui multicellulari la singola cellula non possiede una tale forza. Essa vive sulla scorta della forza dell’actide superiore. Il suo eventuale rifiuto ne rappresenta l’estinzione. Per questo motivo anche l’insieme di tali cellule può più facilmente perire. La forma di vita è più ricca, agile, più soggetta ad estinzione. L’esistenza di una spe­cie dipende maggiormente dalla maggioranza degli individui.

Per la riproduzione, spesso è sufficiente una suddivisione. Ogni braccio di una stella marina può completarsi a formare l’animale completo. La felce è in grado di ricrearsi dalle scaglie delle sue radici. Ogni stelo della melaphora purpurea (pianta del ghiaccio) si crea proprie radici. Più frequentemente la riproduzione avviene che tramite cellule ad hoc – spore, uova, semi. Regola per le specie superiori.

In questo caso, dell’innumerevole numero di cellule, esc­lu­si­vamente un piccolo gruppo di esse é in grado di iniziare una nuova vita. La maggioranza possiede altre proprietà. La loro funzione è rivolta al mantenimento della struttura altamente differenziata dell’individuo, della sua unità. Cercano nut­ri­men­to, si occupano della difesa, modificano favorevolmente l’am­bien­te circostante. Dunque: più evoluta la specie, più potenze l’actide superiore, più marcata l’individualità, più le cellule devono servire alla comunità individuale, pertanto la ri­pro­du­zio­ne rappresenta uno scopo limitato. La forte individualità sostiene la «specie» – è la sua forma di vita – in modo di­na­mico. La debole, la espletano tramite il numero. O meglio, suc­ce­de loro malgrado.

Così si spiega la presunta precauzionalità della natura per le specie in pericolo di estinzione. Più forti sono le in­di­vi­dua­li­tà di una specie, più potente l’actide superiore, più lenta è la suddivisione cellulare. Più debole l’actide centrale, maggiore è la sua molteplice divisione. L’actide debole permette la par­te­ci­pa­zione di molti actidi deboli alla formazione della cellula. La fertilità di una specie è segno di di individui senza ritegno. Soggiaciono facilmente alle bizze del mondo esteriore. Si ren­do­no difficoltosa la nutrizione, per la loro consistenza nu­me­ri­ca. Spesso il loro nu­me­ro massiccio le porta alla loro estin­zio­ne. Una arringa, da solitaria, non avrebbe problemi a so­prav­vi­vere, uno stuolo ne induce la caccia. Dunque: non perché sono in pericolo di estinguersi che «la» natura permette ad alcune specie di essere altamente fertile, ma perché il nucleo dinamico di tali specie è debole, e si comporta smisuratamente e smi­su­ra­ta­mente soccombe. La precauzionalità «della» natura, una favola da pigri. Una menzogna, la funzione individuale per il mantenimento della specie.

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Il germogliare di una nuova individualità, rappresenta per l’individuo un momento di elevato valore. Il baricentro di­na­mico dell’individuo è situato certamente nell’erotico. L’en­tu­sias­mo erotico è anche la massima stimolazione della indi­vi­dua­li­tà. Nelle specie superiori, le cellule sessuali sono est­re­ma­men­te minute e proprio lì si crea il piacere. Le maggiori per­so­na­lità sono state portate dall’eros ma comunque rimasti senza progenie: Platone, Leonardo da Vinci, Michelangelo, Raffaello, Federico il Grande, Beethoven, Humboldt, Heine – altri non ne hanno più Alessandro il Grande, Cesare, Shakes­peare, Goethe, Napoleon, Byron. E se Dante Alighieri avesse avuto 10 figli, non per questo è diventato una semidivinità.

Dunque: Erotismo e procreazione, talmente associati tra di loro, ma, essenzialmente, non sono tutt’uno. Lo dimostra l’is­tin­to «prepuberale», l’amore prima della maturità sessuale. Se l’amore fosse unicamente una fun­zio­ne delle cellule sessuali e della procreazione, l’amore non potrebbe precedere. Ma, natu­ral­men­te, l’amore promuove la maturità sessuale, come la maturità sessuale l’erotismo.La procreazione è solo una funzione ac­ces­so­ria. Il modo in cui i nuovi individui ap­pro­fit­tano dalla stimolazione erotica dell’anziano. Le cellule che sottostanno immediatamente la centro dinamico, captano particolarmente le forze. Per tanto, esse sono in grado di svilupparsi a vita indipendente in anticipo rispetto alle altre. Questo vale sia per le piante che per gli animali.

Le piante si costruiscono da sali terreni e gas. Devono penetrare nel terreno e stabilirvisi, in quanto i gas le rag­giun­gano. Tutta la pianta diventa immobile, ma il suo punto di gravità dinamico resta mobile, avanza e si innalza. Il centro dinamico, sempre la punta. L’animale è fatto di proteine. Deve andare alla sua ricerca. Si sospinge in avanti. Si avventa in avanti con tutte le sue forze. In milioni di generazioni ha dovuto sviluppare la sua fronte e farla crescere. Davanti al centro dinamico, gli organi della percezione. Il centro dinamico si trova alla fine della spina dorsale. Il massimo della sti­mo­la­io­ne della pianta si trova alla punta, quella animale alla croce, Nella pianta, lo spirito creativo di addensa nel fiore, nell’ani­male nell’orgasmo amoroso. La intensa creatività individuale del fiore si trasferisce anche alle vicine cellule sessuali. La individuale intensa sollecitazione nel centro erotico si tras­fe­risce alla sotto tanti cellule sessuali animali.

Non in quanto la «specie» vien salvata, che l’individuo si sente felice per essersi innamorato, ma in quanto può sod­dis­fare la sua individualità ad esprimersi, al di là di un eventuale erede. Non perché così è che salva la specie, che il fiore splen­de, ma in quanto essa rappresenta una meravigliosa esp­res­sione della forza della creatività, al di là di portare o rendere possibili dei frutti. La stimolazione individuale è la chiave del mistero. Infatti anche l’inaspettata stimolazione agisce in questo senso. Una minaccia, comprime le forze, lascia pro­rom­pe­re la individualità. Così, nel 1932, nel villaggio algerino di Sidi-Ferruch fiorirono tutte le agavi perché l’inverno furono ferite dalle baionette dei soldati francesi. Anche l’incisione di un albero da frutta ne stimola la fioritura e la fruttificazione. Altrettanto, l’eros ne risente nel martirio un ultima delizia. Così l’artista lavora nelle sue sofferenze.

La moderna favola della biologia vede nei calici dei fiori la funzione di attirare gli insetti. Questi imopementerebbero la fecondazione. Ma gli insetti ci sono che per fecondare i fiori? Evidentemente, l’immobilità delle piante le rende dipendenti dagli insetti. Le piante non possono per proprio conto entrare in contatto con altri individui. Alle cellule sessuali si prospetta un possibile esaurimento. E qui gli insetti vengono in aiuto, ma anche il vento trasporta e propaga il polline. E’ pertanto scopo del vento, funzione dei cambiamenti barometrici, dei ghiacciai groenlandesi che influenzano il nostro tempo – è il loro scopo la conservazioni delle specie vegetali? Guarderebbe molto lon­tano. Pertanto, come mai è così ricca di imperfezioni, ma­lat­tie e morte? Questa teologia biologica è, da favola scientifica, mille volte più illogica delle più fantasiose favole della creazione.

Il vento soffiava sulla terra ancora incandescente prima che ci fosse da trasportare il polline delle piante. Ora permette lo scambio delle cellule sessuali. E questo scambio di individui viventi, sì! di valore primario, per gli individui. Assolutamente non indispensabile per la specie. Gli infusori separarsi e rip­ro­dursi, senza alcun scambio. Ma alla 251esima generazione muore finalmente la Stylochonia, alla 600tesima more il Leucophyris – se si rende impossibile lo scambio con i propri simili. E lo stesso motivo per cui la solitaria soddisfazione sessuale maschile lo minaccia di autoesaurimento. Lo scambio di forze e succhi rinfresca l’individuo, l’unione temporanea di individui ne rinforza entrambi. Pertanto, le posteriorità ne usciranno, dopo queste mescolanze, rinforzati. E più la specie è evoluta, più la retrocessione delle cellule sessuali, più aumenta l’esigenza per lo scambio, il rapporto erotico, E’ innanzi tutto un incremento dell’individualità, solo in secondo luogo un favorire la nuova individualità a venire, solo in terzo luogo è utile alla specie.

Il rapporto dinamico-erotico è ben più anziano della parte­cipazione sessuale. Ma come l’incremento erotico-individuale rende possibile la miosi di cellule genitali, altrettanto il rap­por­to erotico influenza l’ulteriore differenziazione degli organi genitali. Gli individui non sono mai uguali, la fusione non produce mai lo stesso guadagno dinamico, e le nascenti indi­vi­dua­lità possono venir preinfluenzate in modo molto diverso. Meno profondo lo scambio di forze, più simili saranno simili alle staminali le nuove cellule. Questo  conduce finalmente a esseri materni-femminili, fisiologicamente e psichicamente di tendenza conservatrice. Uno scambio di forze meno intenso, favorisce una deviazione, una neoformazione meno forte ma più vivace, il tipo maschile-riformista. Entrambe sono ten­den­ze unilaterali e sterili. Ma i ogni individuo esse si rimescolano formando stadi intermedi dai due poli «femmina» e «maschio» all’armonia ermafrodita. Più un individuo è unilaterale, tanto più verrà attirato dalla opposta unilaterale, più vicino l’accordo delle correnti di vita, tanto più si avvicineranno le similitudini. In chimica la chiamano affinità, questo incontrarsi di atomi dall’attrazione chimica, è stato comparato da Goethe all’amore. Ma è più di una similitudine. La forza degli actinidi, atomi, cellule, uomini, é la prima delle realtà fattuali.

È l’individuo, e sempre l’individuo che determina con le sue radicate peculiarità lo svolgere della vita. La «specie» ed i suoi desideri, «la» natura ed i suoi paragrafi non sono che grottesche tessere di un grottesco mosaico, inganno della con­sa­pevolezza dei sentimenti di massa. Esistono cosi tante specie, nature ed ordini, tutti quali individui. Con in comune lo sforzo di ogni singolo di crearsi il proprio mondo. […]

Le scienze naturali, quali portaparola dello spirito mo­der­no, hanno pensato di aver superato la religione e di averne liberato il nocciolo dal cartoccio, la morale.

Le testimonianze dei sentimenti vengono dimesse come se fossero inganni, la possibilità di forze eterne ed interiori confutate con l’atomizzazione, la forza della creatività negata dalla legge della conservazione dell’energia, ogni slancio di gioia della personalità unicamente per non lasciar soccombere la specie. Ma ora, tutte le prove contro le sorgenti, vuote pa­ro­le. Più oggettivi, più profondi e veri della ricercata sobrietà della scienza, i miti della giovine umanità tornano a noi anche se riflettono i legami della società del tempo, furbizie sa­cer­do­ta­li e sanguinose barbarie. Ma pur sempre più prossime alla verità ed alla forza di vivere. Vive, creative, eterne potenze in ogni forma – questa è verità. E queste potenze, la lingua le chiama divine.

Le scienza naturali, quali teorie, hanno provocato danni infiniti. Comunque dobbiamo essere grati alla moderna ricerca naturalistica, da Goethe a Haeckel. Quasi contro le loro in­ten­zio­ni la teoria della evoluzione ha schiuso lo sguardo nei più profondi misteri del mondo e della vita. Ha dimostrato che nel mondo esiste ed agisce una tendenza verso creatività superiori, più nitida consapevolezza. Ha indicato com funziona la crescita dai cristalli alle piante, agli animali, all’uomo. Questa salita non è terminata – alla fine di ogni salita dovrebbero esserci esseri armonici, ricchi di forme, ricchi in felicità, padroni al di sopra di piccoli poteri, liberi da smodati metabolismi, così carichi di forza propria che rendono insignificante qualsiasi perdita nell’apporto di fluenti forze, non più soggetti a forza di gravità.

E’ un sogno per il futuro. Ma quanto sulla nostra giovine terra ancora nel caos, è sogno nel mezzo di tentativi e divenire, non può forse essersi già realizzato in un altro mondo più maturo, in qualche posto nell’universo? Ci sarebbe forse già un essere perfetto e dal corpo «illuminato»? – immutabile, im­mor­ta­le, non legato a luogo, pienamente agente, con le cui forze innalza la vita, dove un’anima sfugge al caos? Non sarebbe, in verità, il più profondo pensiero di una grazia del personale-divino? quello che può salvare

chi anelante ci prova

quando a lui

dall’alto partecipa all’amore

Il vissuto religioso singolo resta sempre un mistero, ma in gran­di linee si può intuire il corso del mondo. L’individualismo l’unico fisicamente tangibile.

L’individualismo, è per lo meno ipotetico. L’individualismo è il prossimo e certissimo. Ogni visione del mondo dovrebbe iniziare dall’in­di­vi­dua­le e tornarci. L’in­di­vi­dua­le può essere coperto, paralizzato, mutilato. Ma allora tutto l’ambiente circostante ne subisce sofferenza, impoverimento. Questa è la radice del nostro attuale disagio – trattasi di auto­conservazione delle masse, al sorgere e servire delle favole della scienza.

Individualismo non è sregolatezza ma bensì misurata forza di sviluppo, non distruzione ma bensì costruzione, nemmeno inimicizia ma amore. Tramite felice libero legame di persona­li­tà, l’umanità cresce all’incontro del regno di Dio. Eros è il pro­gettista del mondo, da vive anime ordina il mondo.

 

Traduzione Bruno Ferrini

 

 

Valori della vita, Le favole delle scienza, PDF

Valori della vita, Arte salvatrice

Valori della vita
raccolta di saggi etici illustrati, curati da Elisàr von Kupffer e Dr. Eduard von Mayer, secondo libretto
Le favole delle scienza
di Eduard von Mayer, con due illustrazioni

Il curriculum universitario di Eduard von Mayer inizia con gli studi in scienze naturali. A Losanna diverrà assistente di fisiologia, branca della biologia che studia il funzio­na­men­to degli organismi viventi ed, in particolare, le modalità attraverso le quali il corpo riesce a mantenere la stabilità dell’ambiente interno. Una scienza che presume ed integra approfondite conoscenze interdisciplinari di chimica, fisica, biologia come pure di psicofisica branca della psicologia, dalle origini filosofiche, che studia le relazioni che esistono tra stimoli fisici definiti e misurabili e la risposta, intesa come intensità percepita legata agli stimoli stessi.

Il von Mayer già convinto assertore della priorità del singolo individuo sulla specie, si rende conto che vi erano molteplici motivazioni di ordine scientifico che si oppo­ne­va­no, apparentemente, alla sua visione che, una volta sviluppata, porterà al Clarismo. Il Monismo, con la sua concezione dell’essere singolo parte integrata di un tutt’uno, giustificato da un’aura scientifica, rappresenta per il von Mayer un ostacolo al proprio assunto dell’«Ei­gen­wesen» razionalmente superabile che con la messa in discussione di alcune teorie fondamentali delle scienze naturali moderne, cosa che ne suppone una conoscenza approfondita. Lo farà con «Le favole della scienza» (1907) che riflettono le conoscenze scientifiche di quel momento, ma, nella fisica in particolare, stavano subendo stra­vol­gi­menti epocali.

Alcune critiche espresse nella favola della chimica, toccano l’entità atomo quale struttura degli elementi chimici criticata sulla scorta delle conoscenze del momento che non erano ancora giunte al concetto di numero atomico e la presenza degli isotopi. Eduard von Mayer contesta l’uguaglianza omogenea di tutti gli atomi di un elemento sostenendo che esista una propria identità valida per ogni singolo atomo, analogamente alla identità di ogni singolo individuo dell’umanità. Anche il concetto di caos e ordine subiranno in tempi più recenti alla pubblicazione del 1907 alcuni rivoluzionari sviluppi (strutture dissipative) che rientrano e giustificano alcune intuizioni esplicite o implicite che il von Mayer aveva espresso nelle sue critiche alla scienza di allora. Il Monismo viene citato che in modo implicito ed il pensiero di von Haeckel trova consenziente l’autore in alcuni punti di principio (pagina 39 dell’originale in tedesco), ma ne critica altri, specie nell’approccio alla termodinamica (l’«Energetica») considerato un «Peccato capitale della scienza moderna» (ibid. Pagina 18 e La menzogna su Goethe) Il von Mayer sviluppa il concetto degli «Actidi» quale soluzione alla problematica della singolarità delle componenti della materia e la presenza di movimenti «spiraloidi» poi ripresa in altre pubblicazioni (cfr. Sulla forma lineare del movimento asso­luto, 1932). La materializzazione quale primo stadio della creatività individuale: gli actidi, (entità subatomiche contemporaneamente immateriali e materiali dotate di movimento spiraloide) irradierebbero in continuazione forza e la rinnoverebbero eludendo i principi della termo­di­namica (cfr. ibid. Pagine 17–21, 26, 31–33).

Laelaps in battaglia con Brontosaurus

Se la natura vuole solo conservare la specie, perché ha lasciato queste specie estinte?