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Tecnica e Cultura – Allegati

Allegato I

Si potrebbe controbattere: la storia racconta di grandi azioni di interi popoli, di comuni ordini di vita, imposte da singoli grandi geni. Per esempio Mosè, la cui geniale vista di un Dio trasmise alle tribù di Israele, riunendole, quale mono­teis­mo nazionale. Oppure la conquista, da parte di queste tribù, della Palestina. Oppure la legislazione di Licurgo. Maometto. Oppure Alessandro il Grande che condusse tutt Ellade contro la Persia; Dshinhghis-chan che lasciò cavalcare le sue orde di tar­tari da Pechino fino a Liegnitz; Napoleone, che riusci a creare dal nulla sempre nuovo eserciti. La creazione di Bismark. Le crociate, la guerra d’indipendenza americana, le guerre di libe­razione di Germania e Italia. Ma sono da cosiderare es­pres­sio­ni di vita unitarie? Non abusiamo della parola! Vita significa un continuo sviluppo di movimenti che incastrano tra di loro movi­men­ti, azioni, sentimenti; e vita comune è continuo scam­bio di sentimenti e azioni. Ma quanto un popolo produce in comune, può essere al più una base per vivere – conquista di terre, bottino, indipendenza, gloria. E quanto un grande uomo può creare culturalmente, può essere una cornice per la vita, un’indicazione, un ben messo greto di fiume. La vita la fanno i singoli, il loro sviluppo e il loro scambio di azioni personali. Una volta passate le angoscie e le intossicazioni belliche, i partecipanti si allontanano tra loro – nello spazio, nelle anime ed economicamente – diventano reciprocamente estranei se non nemici. Le provincie settentrionali e meridionali d’Italia sono, malgrado il «Regno», nemici in molti punti, con le regioni industriali ed agrarie, comprensibilmente, su fronti opposti, la Germania del Nord e quella del Sud. E condivide il barone Baltico una vita con il jacuto della Siberia orientale, esclusivamente in quanto Pietro il Grande li ha genialmente costretti in unico Stato? E la grande vita in comune in grazia del genio? Dapprima è comunque il singolo a doversela sb­ri­ga­re, nella sua piccola cerchia, assieme a quelli con cui vive ve­ra­mente. Poco importa, per la sua vita, il simpatizzante d’idee o di credo all’altro capo del mondo. Unicamente se si in­con­tras­se­ro, potrebbero anche comprendersi, a condizione che la sup­posta comune forma di cultura non si sia modificata o dif­fe­ren­ziata. Si pensi alle differenze tra un ebreo polacco ed uno ing­lese o un americano. E le sette cristiane! Dunque nulla, oltre che una debole possibilità di vita in comune in una ris­tret­ta cerchia. Forse, nello spazio di generazioni, i sentimenti per­so­nali potrebbero venir scientemente allevati ad essere in grado di supportare, su basi allargate, una vita in comune. Così lo furono le feste olimpiche ma che in grazia di una forte libertà nei sentimenti personali. Particolarmente, gli estimatori della libertà in Inghilterra (cfr. Allegato II) hanno sostenuto che gli Elleni non fossero che schiavi dello Stato e senza personalità. Letteralmente sovvertita la realtà! Anche se non possiamo tradurre «Polis» come se la città fosse uno Stato, la cornice della vita esteriore Ellenica era impostata e focalizzata sulla vita personale – la cui vita amorosa – pochissimo inibita per quanto lo permettesse una vita sociale. Pertanto, il singolo non aveva da dover finire all’estero. Pertanto, i sentimenti per­so­nali poterono diventare sentimenti nazionali.

Allegato II

La libertà inglese! Certamente – in Inghilterra non esiste il servizio militare. Certamente – una ragazzo o una ragazza di 17 anni può liberamente abbandonare il tetto della famiglia e sceg­lier­si autonomamente un mestiere indipendente. Cer­ta­men­te – un padre può porre una figlia quindicenne in curatela a vita del fratello («trustee»). Bella libertà per la figlia! Cer­ta­men­te – sette protestanti posso spuntare a piacere. Ma se un Inglese passasse all’Islam e prendesse, pio, in moglie due donne, finirebbe in prigione per bigamia. E se un uomo, in casa propria si dà a pratiche sessuali, senza danno per nessuno, ma diversamente da quanto ammette l’opinione pubblica, finirà come Oscar Wilde. Sì, fosse stato un anarchico nell’azione, av­reb­be goduto della libertà d’asilo – ma fu imprigionato, boi­cot­ta­to e giudicato a finire. Ellis e Symond non poterono pub­bli­care in Inghilterra il loro libro «il Sentimento sessuale con­tra­ria­to». Il Krafft-Ebing di «Psychopatia sexualis» non poteva superare la frontiera, come le opere di Emile Zola. E poi si inviesce contro i censori russi? L’inghilterra non è libera. Se un uomo in seconde nozze vuol maritare sua cognata, la legge non lo permette. Pertanto, proprio la sfera della vita personale e della felicità non è libera. Ma non lo è pure in tanti altri paesi. Motivo non sufficente a definire l’Inghilterra un paese libero, se altri sono Stati tiranni. Il lontano parlamentarismo inglese ha per lungo tempo affascinato i liberali del continente, fosse un ideale. Ma è solo un’apparente ed esteriore libertà del cit­ta­dino, in pratica l’uomo è asservito. La morale antierotica è quella dello Stato di massa. Non ha nulla a che fare con Cristo: era nemico della menzogna ma non della vita. Ha un doppia origine extracristiana. Da un lato, la legislazione di Josaia che voleva ripulire da ogni forma di politeismo, poi ci mise del suo Paolo, dal Vecchio Testamento. Dall’altro, nella ormai stanca filosofia della industriale e democratica Atene, l’ellenismo in decadenza. Il mondo dei sensi era diventato un abominio. L’inghilterra è un paese non libero, sia per le leggi scritte che per quelle non scritte dello spirito pubblico. Basta ricordare il trattamento che subì Byron, a Shelley cui venne negata l’edu­ca­zio­ne al proprio figlio, a Wilde. E l’inglese apparente san­ti­fi­ca­zione della domenica! la prüderie che il pubblico inglese pro­pi­na alla terra ferma! L’iglese etichetta da lacché!

Conosco un signore, il cui amico, un pittore, non vien in­vi­tato alla sua tavola in quanto quest’ultimo non porta il frack. Bene, libero di invitare chi vuole e conviene. Ma considera questo come rispetto della personalità?! Più liberi in Italia, con la casa privata protetta dall’arbitrarietà della polizia, dove esis­te una quasi illimitata libertà di stampa e dove non esistono favoritismi o appartenenze a clan che influenzino, se non la personalità, i rapporti personali. E in Italia, già dall’«oscuro Medioevo», se la sarebbe cavata a buon mercato, tanto per fare un esempio, in San Gimignano con 100 Lire pisane (= 700 Frs.) di multa. Ma conosco un paese che è ben più avanzato dell’Ing­hil­ter­ra – la Russia! In Russia, da mezzo secolo, non esiste più la pena di morte. I tribunali ordinari non conoscono condanne a morte – sono riservati ai tribunali straordinari! In Ing­hil­ter­ra, uffciale libertà – leggi commerciale –; per la sottomissione dell’uomo ci pensa, già per conto suo, lo spirito inglese. Se agli inglesi ciò aggrada, buon per loro, ma non motivo di lode di questa libertà per allocchi da parte degli stranieri. Al più, un motivo a stimolare, partendo da questa libertà borghese, un progressivo sviluppo di una nuova e umana libertà.

Allegato III

Che un popolo faccia uso della sua eccedenza di popo­la­zione per la creazione di colonie agricole, è giusto e buon mer­cato, sì, diciamolo pure, auspicabile. Una colonia può persino rappresentare una ripresa culturale, per esempio nei greci continentali al loro passaggio al Peloponneso. Ma per gli au­toc­to­ni, la colonia rappresenta un grave giogo.Ridicolo, quando il conquistatore fa passare il brontolio del suo stomaco per una voce di profeta nel deserto e si mette a fare il nobile e disin­te­res­sato educatore degli autoctoni. Ma è ancor più ridicolo, quando un etnologo in carne e ossa delira di «Elevare il livello morale e spirituale degli autoctoni» e definisce il commercio quale pioniere di istruzione e nello stesso articolo (in Tag dell’8 settembre 1906) riesce a propinare «… portoghesi in Brasile presero i vestiti di vittime della scarlattina o vaiolo per posarli nelle zone degli indigeni, o che le fontane nei deserti dell’Utah, abitualmente frequentate dai pellirossa, fossero state avvelenate con stricnina, o che in Australia, nei tempi di carestia, le donne degli immigrati frammischiassero arsenico alla farina che avrebbero poi offerto in carità agli indigeni af­fa­mati, o, finalmente, come in Tasmania, i colonizzatori inglesi avrebbero sparato sugli indigeni in quanto non abvrebbero trovato cibo migliore per i propri cani.

«In che consiste l’elevazione» della civiltà europea? – nel colletto duro, frack, articoli in gomma e cinematografo? Sul valore morale di quest’ultimo prodotto culturale si confronti il seguente (Münchner Neueste Nachrichten del 10 settembre 1906); «in un altra immagine umoristica», un ricco com­mer­cian­te, o un ufficiale di marina, in compagnia di venali sgual­dri­ne, viene derubato e sbattuto, incosciente, in un calesse dove vien preso da conati di vomito» – questo è umoristico, spiritoso, interessante! Inoltre vi sono spesso scene di as­sas­si­ni, seduzione e rapine, un «godimento» per i ragazzi non ancora maturi, un sobillameno ad imitare queste gesta eroiche! Oppure, al cinematografo vien rappresentata una disgustosa dama che cade in una fogna poi visitata da ratti – «la sporcizia della cloaca sgocciola su di lei e l’insozza». Questo dimostra che la tecnica non sempre ci eleva umanamente, oltre il sel­vag­gio. E in che consiste la «Educazione degli indigeni»? – nelle piantagioni e «delicata pressione, come nella nostra scuola obbligatoria!!». Per i capitalisti europei il valore del dividendo può essere molto convicente e non ho nulla da ridire. Ma che ci guadagna l’educazione umana e morale negli indigeni? Se lo afferma uno statista per motivi di realpolitik, lo si può anche comprendere. Ma se lo dice uno scienziato alla ricerca della ve­ri­tà, o anche un privato ne accenna pur sommessamente, questi non hanno scuse. Oggi si rimprovera a Multatuli che sia stato troppo scuro e pessimista nella sua critica, lo contraddirono già le ricche prebende che fluivano dalle indie olandesi alla terra madre, l’Olanda. Maltatuli non aveva compatito i com­mer­cian­ti di caffè di Amsterdam, ma i Javanesi sfruttati. Oltre tutto, conosceva la situazione delle colonie molto meglio dei suoi critici. Era un alto funzionario del governo ed ha sac­ri­fi­cato la sua esistenza e posizione al proprio  convincimento di dover combattere lo sfruttamento economica delle colonie.

Spesso devo pensare a due parole adeguate del Prof. Schmoller del Collegio in Berlino: – il denaro e la fame sono l’ultima molla del divenire sociale e … questo non lo si sente volontieri. Anche il suo auditorio evitò di mostrare, con il solito batter di piedi, il suo apprezzamento.

 

Traduzione Bruno Ferrini