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Le leggi vitali della cultura – Prima parte – L’essere della cultura

IV. La vita della razza

Il singolo individuo, germe della razza

Distinguendosi dalle altre specie, l’umanità rappresenta una ricchezza di forme di vita che differenziano un uomo dall’altro. La struttura dinamica delle specie umane è talmente elaborata da dare una grande libertà alla vita del singolo senza pertanto dissolvere i comuni legami tra i singoli. All’interno di queste forme di vita si trovano i più grandi opposti che forse, senza perdita di continuità, si trasformano gli uni negli altri, o alternativamente si sono invece voluti posizionare gli uni accanto agli altri, delimitandosi e riassumendosi vi­cen­de­vol­men­te, ragruppandosi in quanto si accordavano e ritagliandosi se non entravano nelle norme. L’appartenersi per ca­rat­te­ris­tiche comuni delle forme di vita è quanto denominiamo essere un razza, la comune sensibilità alla vita, l’apparentamento sanguigno, la similitudine delle strutture intime.

Vista esternamente, la razza rappresenta la comunità di tutti gli uomini della stessa ascendenza, la comunità san­guig­na; ma vista dall’interno e non esteriormente, in modo dina­mico e non materialistico, la razza si limita nella sua validità alla comunità di persone che rappresentano una comunità che la sente allo stesso modo. Da sempre, apparvero nuove forme di vita dalla vita interiore dei propri avi ma contrari alle loro ascendenze, un nuovo uomo la cui struttura dinamica non è stata ereditata ma formata di nuovo; queste sono personalità. Si posizionano oltre, sopra se non fuori, la razza; e se la razza fosse una forma unitaria di vita, allora queste nuove forme possono pretendere di essere considerate una razza particolare; seppure unicamente come il germe di una razza, il primo an­te­nato di nuove comunità di vita.

Se l’essere umano fosse in grado di riprodursi per semplice suddivisione, suo figlio gli si sarebbe quasi identico e le loro differenze non sarebbero di rilievo come non lo furono gli inf­lus­si presenti ai tempi delle tribù. Ma l’essere umano si forma dalla mescolanza di due esseri diversi, o più giustamente, dalla fusione di due cellule particolarmente abilitate. Avendo due parenti, non può assomigliare esclusivamente ad uno dei due e quand’anche ne rappresentasse la nuda somma dei due queste proprietà genitoriali sarebbero non ripetute, ma superate nel bambino. Le loro forme di vita personali non sono state man­te­nute ma sottoposte ad un rinnovamento stravolgente e per­tan­to sono andate perse. A sua volta, questa creatura subirà la stessa sorte in quanto anche lei non potrà riprodursi da sola, e dovrà, per poter agire, entrare in contatto con forme di vita a lei diverse per subire a sua volta, rinnovandosi, delle tras­for­ma­zioni.

Ma questi rinnovamenti non sono che una distrazione dalle tendenze genitoriali innate; in questo modo viene evitato che l’essere umano faccia proseguire la sua specie ed il germe di una razza che rappresenta è destinato alla fine. Ed anche la sua testimonianza sparisce ancor di più se più grandi sono le differenze tra i due genitori, più i loro avi hanno vissuto di­ver­samente, più indipendenti tra le di loro origini, più lontani i loro gradi di parentela.

Ma fecondarsi reciprocamente non possono che esseri relativamente tra di loro vicini, come al massimo conigli e cavie, volpe e cane, cavallo e asino; ma proprio questi casi dimostrano che queste felici fecondazioni che la formazione di una razza mista, di un bastardo, crei un imparentamento per ascendenza, come invece se ne dovrebbe dedurre dall’unità delle razze umane. E mostrano caso mai la approssimativa uguaglianza dei livelli delle forze interiori ed una qualche ana­logia nelle strutture dinamiche; e queste sono deter­mi­nanti.

Quanto più lontano siano situati i genitori, tanto più la progenie sarà diversa da loro; nel caso contrario, più i genitori si assomigliano e più il bambino assomiglierà ad entrambi nel suo insieme. I questo senso, il bambino rappresenterà una conferma della propria specie ed una consolidazione della loro specie e pertanto le caratteristiche del bambino ne usciranno più unitarie e possederà una forma di vita più pronunciata e regolare e continua nel suo sviluppo.

Pertanto da un essere si giunge ad una razza, e lo sviluppo delle apparentate caratteristiche, che nel caso in cui vi sia un mescolamento tra persone tra di loro vicine.

La formazione della razza

La fusione di persone vicine tra di loro deve aver avuto luogo inizialmente per tramite dell’incesto […] prima tra fra­tel­li, poi tra cugini di ogni grado che porterà ad un affinamento della razza inarrestabile e che nel tempo sarà fonte di danni sì da limitare ai singoli di allontanarsi dai canoni in cui sono cresciuti. […]

Dopo le inconsce forme iniziali di convivenza, seguì il riconoscimento delle proprie caratteristiche razziali e la loro volontà di non disconoscerle sostenuti, a loro protezione, anche dalle religioni.

Il rimescolamento della razza

Precedute dalle razze di sangue, le razze prigemie si con­sa­pevolizzeranno con lo scontro con altre razze […] la protezione della propria assumerà un ruolo importante nella legislazione. […]

Ma dopo secoli avvenne un appianamento delle contese da ambo le parti: i nipoti dei conquistatori dimenticano i loro doveri di razza e non comprendono più il bando ai matrimoni misti; dal canto loro, i nipoti dei conquistati assumono, con il cambiare dei tempi, ruoli sempre più prossimi a quelli dei signori del passato, sia nella borghesia che nella nobiltà. Rari gli altri casi (gli Spartani, o la nobiltà Baltica delle province occidentali russe o l’alta nobiltà tedesca) che, se non altro, dimostrano quanto poco impatto ebbe il pensiero della razza e si associò ogni progresso , estorto a costo di senso della razza, della consaguineità, di un’unitaria condotta di vita e vera arte di vivere.

Il nuovo senso della razza

Quasi sempre la razza decade nel rimescolamento e da cui consegue tutta la storia di un cotale popolo. E più vaste sono le razze che tentano di unirsi, maggiori le difficoltà che por­te­reb­bero, nel caso di un successo, alla formazione di una nuova razza. […]

Tentativi razionali di unificazione porterebbero ad un fallimento in quanto i valori intimi vi si opporrebbero sus­ci­tan­do un fiorire di forze contrarie ad ogni nuova forma di vita.

Lo sfaldamento della razza

Un processo naturale.

Sarebbe anche possibile tenere al passo i singoli fin ché i numeri sono ridotti, fin tanto che si vive in un territorio limi­tato, anche se esiste una stabilizzante omogeneità di sangue, e aiutano interessi e desideri congrui con una uniformità della vita esteriore.

Altrimenti, se le cifre della popolazione e il territorio au­men­tano, anche in presenza di una forma di vita ap­pa­ren­te­mente omogenea, sostenuta da interessi in comune, i legami del comune sentire e quelli di sangue si affievoliscono. I matrimoni avvengono, come prima in cerchie ristrette, ma non rigidamente contrapposte ma sempre più fluide nei loro confini seppure, quale conseguenza dell’allargamento della vita in comune, più autonome che rivolte contro altri. In questa situazione, le forme singole di personalità, sorte meta­fi­si­ca­mente dal caso, assumono più rilevanza all’interno delle cerchie meno ristrette; e quand’anche questi singoli vengano indeboliti, non vanno comunque persi e si crea loro l’op­por­tu­ni­tà di valorizzarsi creando una élite all’interno di queste cerchie da cui sono nati. […]

Le discriminazioni di ceppi assumono, anche loro, im­por­tanza […] La razza non è qualche cosa di inanimato ed im­mu­ta­bile, ma una forma organica di natura. […]

Anche in presenza di evolute forme di convivenza quali le specie basate su ceti finanziari, si formano selettivamente mestieri, congreghe e classi. Ognuna di queste classi sociali si racchiude in sé, cercando di consolidare, con matrimoni all’interno della loro cerchia, i loro averi, con propri valori di vita. Nel caso di avvicinamenti di un popolo con i suoi vicini, questi gruppi trovano sostegno all’estero come lo dimostrano gli imparentamenti della nobiltà dei paesi europei e l’in­ter­na­zio­nalizzazione dei commerci e del lavoro […] Anche qui, la stratificazione della percezione della vita dell’umanità, diversa da quanto propugnavano le razze, porta comunque ad una natura ricca di singole apparizioni basate su naturali rapporti tra forze interne e quelle esterne.

Il degrado della razza

La forza della natura ha portato ad una ridda di razze, difficilmente compatibili con la sacra etnologia. Con ogni singola nascita, questa forza entra in azione […] Anche pren­den­do come criterio la lingua che si differenzia con i suoi dia­let­ti, questi dimostrano il progresso di processi di indi­pen­denze. […]

Si deve pertanto riconoscere una legge vitale della razza che risulta maggiormente consolidata, sia all’interno che all’esterno, quanto più i compagni di razza sono legati tra di loro. Tutto quanto divide, indebolisce la razza sia delimitata da spazi geografici che dal lavoro. L’indiscriminato aumento della popolazione ne può far aumentare il potere esteriore, ma ne diminuisce le forze interiori e la capacità per una cultura. A quest’ultima serve non la forza dei numeri ma la loro qualità, non data da forze muscolari in un certo numero di muscoli, ma nella forza interna cumulata dai singoli in una ereditarietà precipua che può tornare a vantaggio di tutta la razza. Solo così essa può crescere costantemente ed unitariamente inc­re­men­tan­done la qualità.

L’origine delle razze storiche

Che le razze si superino in livello, differenziandosi nei valori, è una fatto ben conosciuto prima degli studi di Gibineau sugli Elleni; ma bisogna riconoscergli che anche lui poco crede a quanto scoperto.

Il suddividere in due razze fondamentali, primeggiante quella nobile e bianca e quella nera e comune, è un at­teg­gia­men­to per lo meno infantile; e se anche una razza avesse anuto origine nel continente settentrionale e l’altra dal sud, la natura non starebbe a guardare ai risultati di questa prima fram­mis­tio­ne, ma avrebbe sfruttato la situazione contingente per creare nuove forme migliori. E benché anche nella realtà questi misti inadatti hanno fatto andare in rovina interi popoli (gli spagnoli del Sudamerica e la loro morente cultura, o come nella Roma imperiale), esiste, anche e comunque, il caso di una elevazione della razza.

Domanda fondamentale della storia delle cultura, delle razze e dell’umanità, come alcune razze abbiano saputo imporsi su altre. […]

Il livello di una razza

Se la storia ha un senso, questi si basa nel credere che la vita del presente sia sgorgata dal passato, che nella preistoria le cause e le forze creatrici siano imputabili di un degrado cui dev’esserci stata una precedente situazione migliore, e dall’alt­ro, che una vetta sia stata raggiunta in quanto debba essere stata scalata.

Resta il fatto che le razze superiori, esattamente come i vegetali, siano nate da forme inferiori. […]

Se da un lato le necessità di un popolo risveglia cospicue forze e queste vengono attivate con l’intenzione di evitare una frammentazione: allora il sangue si affina e nobilita e la cres­cita di forze interne la eleva. Un nuovo futuro inizia a ger­mog­liare, una nuova cultura, nuova umanità.

Il monte, nuova patria superiore

Il lontano passato dei primordi dai quali i popoli della cultura hanno dovuta inerpicarsi, è nella notte dei tempi; ma l’ultima rinascita è rimasta indelebile nel ricordo delle razze. E spesso rendono onore ai monti quali origine della loro specie.

Veramente, i monti sono spesso collegati alle più antiche favole popolari, dall’ambientazione spesso religiosa. Il culto della montagna indica prigemie relazioni tra uomo e montagna dove l’uomo apprese a conoscere le divinità e imparò a fargli sacrifici dall’alto delle colline, quale altare, ancor recentemente consacrato dalla moda dell’alpinismo. […]

Viverci, non era facile negli alpeggi, ma ne rinforzò le tempra a tutto vantaggio della razza […] ma quando tornarono nelle pianure ne ringiovanirono le popolazioni. […]

Ma che anche i deserti potessero essere maestri di vita, l’ha dimostrato l’Arabia, dai quali arrivarono dapprima gli Ebrei, poi gli Arabi.

Gli Ebrei e la razza

E questa è l’etica della storia delle razze, che lascia, con lotte e bisogni, risalire gli uomini; ma le vette devono essere conquistate! D’altra parte, il bisogno  non fa che impegnare le forze del singolo, la consanguineità aiutando, stretta vita in comune nella lotta. Gli ebrei rappresentano il caso in cui la lotta, da sola, non basta a nobilitare un popolo. Che fossero stati scacciati dalla Palestina, avrebbe potuto aiutarli alla vit­to­ria, non si fossero dispersi. Divennero in massa prigionieri degli Assiri e Babilonesi ma gli furono assegnate località frut­tuose senza che dovessero lottare per conquistarle: e pertanto, senza idea di nazione, non tenuti assieme da una par­ti­co­lare religiosità, le dieci tribù si spersero nelle razze dei vicini. Le altre due tribù di Giuda avevano il loro Jahve e il desiderio per Gerusalemme; tutto terminò lì, sedendo in zona con ricchezze e ritornare, dopo due generazioni e senza che vi fosse un affi­na­mento della razza; determinante fu che la loro più viva attività nel campo religioso, rivolta contemporaneamente contro i riti religiosi babilonesi più che contro la propria disperazione, con una risultante nuova formazione e la completa delaicizzazione di Jahve e la scrittura della Bibbia 10).

Allorquando Tito li scacciò, si spersero ai quattro venti e mancò la consanguineità. Potevano agire che nel loro ghetto e si separarono gli ebrei occidentali, i portoghesi e olandesi, dagli orientali, i siriani, polacchi, tedeschi e da loro si erano separati quelli di Crimea. Uno certo riordino della razza si rese evidente, ma in quanto lotta di sopravvivenza cui erano cost­ret­ti anche se con raziocinio, in quanto la mancanza di pos­se­di­men­ti terrieri li sciolse dalla terra e ne svilupparono la ragione; le forze eroiche, coraggio e maschilità sparirono. Solamente nei momenti di estremo bisogno, durante le persecuzioni degli Ebrei, si mostrarono nuovamente i vecchi tratti dell’eroismo che avevano una volta fatto conquistare Kanaan agli Ebrei. Altrimenti, la lotta di sopravvivenza non li ha potuti nobilitare quale razza, anche perché gli affari li sciolsero dai bisogni ed il loro genio per il denaro li fece diventare il demone della nostra cultura, quale sirena che tende a togliere pure gli ariani dalla loro terra ed impedisce loro qualsiasi progresso della razza. Che forza rappresenti la razza, gli Ebrei lo hanno dimostrato in tutta la loro storia, ma il loro potere non lo vogliono condi­vi­dere.

Le leggi vitali della razza

Dai monti non scese la cultura, ma le razze culturali. Le isole scandinave si sono dimostrate essere il punto di partenza della vita Ariana, e ancor prima, le montuosità medioasiatiche possono esserne state la culla; per i Semiti. sembrerebbe che il Caucaso ne sia l’origine, anche se il deserto ebbe suc­ces­si­va­mente il suo ruolo, analogamente per gli Ariani, il baltico Nord. L’alto Egitto e la sua cultura emergono dalle montagne dell’Abissinia, da cui le acque del Nilo ricevono ancora la loro fertilità; e l’Egitto settentrionale fu il luogo dei primi sviluppi. Anche nel loro piccolo, si ripete il fiorire della cultura nelle pianure da forze originate nelle montagne. I Dori dall’omonima piccola catena montuosa, dai monti Latini e Sabini si arriva per la fondazione di Roma.

La capacità delle razze superiori è stata raggiunta, il livello diventato, la razza è una entità viva; queste le sue leggi vitali:

1. Una razza sorge e scompare con ogni singolo uomo;
2. una razza si forma che per incesto e unioni interne da elementi estranei;
3. una razza cresce per
a) tensione della singola forza vitale,
b) costante mescolamento di sangue in un cerchio stretto
e infatti della
a) fondazione del suo senso di vita,
b) incremento qualitativo delle sue forme di vita;
4. una razza si suddivide in razze simili per separazione delle loro vite, o della scissione spaziale o culturale di gruppi ed il loro successivo sviluppo autonomo se­con­do 1. e 2.;
5. una razza decade per sregolate frammistioni di elementi inadeguati.

Leggi non rigide e nemmeno sofisticate, ma non altro che feno­meni della vita di una inesorabile natura. Benché la natura nel suo insieme è unicamente un caos, lotta e sregolatezza, nel suo dettaglio tende per l’unitarietà e l’ equilibrio; e sia capito, ogni attivazione della struttura avviene che quale difesa da inter­ven­ti disturbanti, per l’esclusiva messa in sicurezza e mig­lio­ra­mento della solida peculiarietà. E se ogni cultura è opera umana e lavoro di vita delle razze, chissà, se la cultura non sia che una semplice ulteriore deviazione per l’incremento quali­ta­tivo dell’umanità, unicamente un modo per indurre un obiet­tivo in un imprevedibile futuro?

 

continua

 

Traduzione Bruno Ferrini

La questione della razza e della sanguignità

La problematica, vista nell’ottica di Eduard von Mayer, presenta alcune peculiarietà abbastanze strane per il nostro occhio. Sono però l’espressione dei modi di vedere il mondo, all’inizio del XX. Secolo.

Con la scoperta dell’America di Cristoforo Colombo (1492) e la circonnavigazione dell’Africa verso le Indie di Vasco de Gama (1497–1500), iniziò la scoperta del mondo ed il colonialismo. Le spedizioni al polo nord di Frederick Cook (1907) e Robert Edwin Peary (1908) e la spedizione di Roald Amundsen al polo sud (1911), si concluse l’esplorazione del nostro globo.

Le zone industrializzate dell’Europa e Nordamerica, il primo grattacielo venne costruito nel 1885 a Chicago, la torre Eiffel a Parigi (1889), erano un mondo completamente diverso da quello dei popoli indigeni dell’Amazonia e Nuova Guinea che vivevano ancora all’età della pietra. Le diverse modalità di vita rappresentavano un loro particolare fascino.

L’umanità presentava, accanto a modi di vita condizionati da diverse culture, tecniche e sociali, anche differenza dovute al colore della pelle e altri caratteri somatici e ci si pose il quesito a comprenderne l’eziologia. La cultura europea, dal 1500, era superiore, per tecnologia e scienza, a quella degli altri continenti. La nobiltà europea non si esponeva il meno possibile al sole, ritenendo che il suo «pallore» fosse sinonimo della loro superiorità rispetto a coloro che da contadini lavoravano nei campi, abbronzati. Si sviluppò nelle menti, pertanto, una gerarchia data dal colore della pelle e dal suo valore: i bianchi (europei, caucasici), gialli (mongoli, cinesi), rossi (nativi americani), bruni (arabi, semiti, indiani, malesi, asiatici sudorientali) e neri (negri e negroidi). Per esempio Ernst Haeckel, ordinò gli umani in più e meno sviluppati – per lui i neri erano ad un livello di sviluppo più prossimo a quello delle scimmie, se confrontato a quello degli «altamente sviluppati» europei. Questi modi di vedere furono stru­men­ta­liz­zati a giustificare la schiavitù e la tratta degli schiavi, ma anche per giustificare la supremazia dell’aristocrazia precedente alla rivoluzione francese, sostituiti più tardi dal concetto di classi sociali di Karl Marx. Le razze, note dalla selezione artificiale negli allevamenti, furono visti (Haeckel) come realizzati anche nell’ambito umano, quale una sorta di auto selezione. La teoria delle razze umane.

La rivoluzione del 1787 (Presa della Bastiglia) e le seguenti rappresentò per Eduard von Mayer ed altri appartenenti alla élite intellettuale l’occasione di darsene una ragione: lui la addusse ad uno sradicamento culturale del lavoratore nelle industrie –, non il fatto che, nel rapido mutamento del ciclo economico a quel tempo, i pro­prie­tari di fabbriche hanno ricevuto i ricchi frutti dell'economia «buona», ma i lavoratori hanno dovuto sopportare il peso della «cattiva» economia.

In pieno credo che la sanguignità fosse la causa principale per le differenti classi sociali, denoninò queste quali razze, non chiaramente, specificamente ed esclusivamente in termini biologici, ma quali complessi eredidati cul­tu­ral­mente, che derivavano o risalivano dalla composizione ematica. La razza, per lui, era responsabile per le famiglie, l’intelligenza, l’autostima culturale e le tendenze politiche. Peraltro, parla persino di una nobile razza europea. D’altra parte, ogni appartenenza all’umanità è anche carat­te­riz­zata da una propria individualità e personalità. L’apogeo dell’umanità per il von Mayer era stato raggiunto con l’antica Grecia, ed in particolare con i Dori di Sparta. Il loro calare, secondo il suo pensiero, aveva avuto origine in una sfavorevole mescolanza di razza. (Piuttosto, lui significato mescolarsi con persone con valori culturali diversi.) Il modello che collegava sviluppo e decadenza di popoli con le proprie capacità culturali e tecnologiche, era, per lui, quanti altri e frequenti storici, un non problema –, le navi romane, l’arte della guerra, le strade ed in par­ti­co­lare agricoltura dei romani erano, a partire dal 200 a.C., superiori a quelle greche.

Le considerazioni del von Mayer riguardanti la razza non sono assolutamente da mettere in relazione con i concetti eugenetici propugnati dal nazional­so­cia­lismo. Sono piuttosto l’espressione della visione che si aveva del mondo e spiegano quanto la follia razzista dei nazisti trovasse un terreno così fecondo. Le sue teorie son pertanto da considerarsi quale nobile tentativo di dare una spiegazione al diritto di autodeterminazione del singolo individuo. Questi concetti, oggi considerati natu­ral­men­te come ovvii, nel 1900, in molte zone europee, non lo erano affatto. Predominavano invece rigidi schemi su usi e costumi e morale. Questo anche comprendeva l’idea, che in matrimoni razziali misti, era nato l’uomini inferiore.

Mappa della diffusione delle razze umane
Meyers Konversationslexikon, 4a edizione, 1885-1890

Il sangue, linfa particolare. Per Eduard von Mayer, esis­te­rebbe una «nobile razza europea» dovuta da regole matri­moniali e alla fede di una «forza divina» del «sangue di nobile lignaggio» che si sarebbe rafforzata grazie a matri­moni e procreazioni tra possessori di simili o altrettanto nobili caratteri ereditari. Su queste credenze, supportate anche da ideologie popolari, si appoggiano detti tuttora utilizzati quale «nobile lignaggio» o «sangue blu».

Dal 1900 vennero scoperti i gruppi sanguigni. Dal 1940 is aggiunsero i fattori Rhesus. Il sangue rappresenta una delle più importanti differenze tra gli individui umani. Ma i gruppi sanguigni trovano omogenea diffusione in tutto il globo, seppur in modo differenziato. Questo dimostra che gli uomini prigemi, vivevano, a seconda delle condizioni climatiche, in gruppi isolati che si mescolarono quale conseguenza di cambiamenti climatici. Conseguenza delle ere glaciali e dei periodi delle interglaciazioni. Le forme glaciali erano, agli inizi del 1900, ancora sconosciute.

Il fattore Rhesus può persino agire quale forma di una parziale sterilità (speciazione). Se il padre è Rh-positivo e la madre Rh-negativa, il fattore Rhesus risulta essere geneticamente proponderante ed il bambino risulterà Rh-positivo. Alla prima gravidanza, nessun prob­lema. Ma in ulteriori gravidanze, per contatto della madre con il sangue fetale, si formano degli anticorpi anti-Rhesus che conducono ad aborti o a severe deficenze im­mu­ni­tarie del feto irrisolvibili senza un massiccio intervento della moderna medicina perinatale.

La incompatibilità Rhesus (inglese)

 

Thomas Voelkin