Elisarion > opera letteraria > Bibliografia di Eduard von Mayer > Le leggi vitali della cultura > La collaborazione della natura

Le leggi vitali della cultura – Prima parte – L’essere della cultura

II. La collaborazione della natura

Cultura e clima

In tutte le emigrazioni, è stato eccezionalmente cospicuo l’effetto educativo in ambito culturale dovuto alla modifica ambientale, sia nella preistoria che nella storia, eseguito dall’uomo.

Indipendentemente dalle cause che hanno obbligato l’uo­mo a lasciare i luoghi d’origine portandoli in nuove lo­ca­zio­ni a loro ignote, furono costretti ad adattarvicisi. La nuova patria poteva, nel suo insieme, essere meglio o peggio dell’originaria, ma in ogni caso l’uomo si trovò in nuove condizioni di vita con l’unico ausilio di quanto avevano appreso ed applicato in­cos­cien­te­men­te quale sua quotidianità. Ora cerca di applicarle, cercando i materiali su cui agire, ma ne trovò altri di quanto si fosse aspettato. Sapeva porsi degli scopi, ma ora imparò ad adeguare i mezzi ai suoi scopi, ad adattare le sue azioni alla natura e pertanto a dominarla.

In queste emigrazioni, il caso fu il più delle volte l’indi­ca­tore alla via; una valle, una catena montuosa diedero la di­re­zio­ne; ma sempre seppe valutare il vantaggio di una scelta casuale rispetto un’altra. Uno dei più preziosi doni della natura fu l’effetto dato dal mare, specie se la costa era suf­fi­cien­te­men­te strutturata per aiutare l’uomo, sulle piccole distanze, ad essere pilota di sé stesso fintanto che conquistò autostima e coraggio e stimoli a viaggi verso mete sconosciute, supportate in modo importante da correnti marine e venti. Audaci popoli marinari si sono formati in zone insulari – come nel caso dei Caraibi dei mari delle Antille, quelli della Malaisia e Polinesia, dei Fenici, Elleni e Liguri del Mediterraneo, dei Normanni delle isole Scandinave e dei fiordi Norvegesi. In particolare i Fenici, sono un esempio scolare degli influssi culturali della natura; essi non furono che gli avanposti delle tribù Semitiche che nell’Arabia interna si erano sviluppati quale popolo pas­to­ri­zio predatore sulle fruttuose piane della Mesopotamia e del Giordano diventando stanziali coltivatori della terra e, con­tem­po­raneamente sulle sottili coste della Sira, navigatori che, sospinti a ponente da correnti marine, si trasferirono da un insediamento all’altro.

Così, si mostra l’effetto della natura quale clima, come una delle cause della separazione e l’avvistamento dell’uomo. E se, da un alto, ogni cultura è opera dell’uomo, anche l’uomo ne faceva parte e la dominava, ma pure se la modellò a sé stesso; il progresso delle razze è dovuto a lei.

Gli uomini che diedero impatto all’umanità furono esclu­si­va­mente quelli dotati le cui forze duramente allevate le alle­va­rono anche nell’intimo; queste forze le poté realizzare che grazie al fatto di essere confrontato con una natura circostante che non era né troppo ricca né troppo povera. Parenti più pros­si­mi sono gli Indiani più poveri dell’interno Brasiliano o gli abitanti della terra del Fuoco ed i Peruviani, quelli della mag­gior­mente ubertosa natura o anche quelli tra i più poveri, questi che, nella alte valli dall’aria fina, crearono una fiorente cultura; ed altrettanto restarono cacciatori le tribù a nord in accordo ai vasti boschi e alle estese praterie, mentre gli altri sulle alture del Messico, divennero un popolo di cultura. Altrettanto i Sumeri divennero fondatori della cultura asiatico-occidentale che al momento in cui abbandonarono le desolate steppe per giungere nelle valli dei fiumi Tigri ed Eufrate, come i cinesi lo divennero allorquando scesero dall’Himalaia se­guen­do le acque del fiume Yangtse per giungere alle fertili terre gialle; altrettanto che gli Assirobabilonesi, gli Ebrei ed i Fenici, anche gli Arabi si innalzarono alla cultura facendo casa loro le aree più miti lungo il mediterraneo ed al Nilo, in Siria, Sicilia e Spagna.

La natura nella Razza

Se l’uomo è d’azione e creatore, ha ereditato queste pro­prie­tà dalla natura che, più attiva e più potente nella sua creatività, lo ha in fondo che scelto, fatto, quale sua tes­ti­mo­nian­za. E se anche i ruoli fossero distribuiti e la cultura as­seg­nata all’uomo, la natura non si è lasciata sfuggire l’istinto umano alla cultura, ignorandone a parte le pretese esterne, nobilitandone e carpendole dall’interno. Migliore col­la­bo­ra­tri­ce dell’uomo, la natura lo divenne nell’uomo ed esclusivamente dove aveva effettuato un lavoro preparatorio forgiandone il sangue, in quanto gli fu facile, da questo sangue, seguire le direttive dei compiti della natura.

I passaggi, le trasformazioni e le migrazioni che hanno fatto, di un gruppo di uomini, quello che furono in grado di fare, sono estremamente difficili da ricostruire; resta, quale guida della preistoria, che vi furono esclusivamente cause esterne che indussero un rinnovamento intimo, una ri­vi­ta­liz­za­zio­ne ed un miglioramento dell’uomo. Ogni maggior stadio culturale, che non sia provato sia stato vaccinato, rappresenta una prova di un cambiamento nella natura, ordinariamente una migrazione; e anche per la semplice imitazione, non è da solo sufficiente il contatto di varie cerchie culturali, in quanto indispensabile è pure l’aggiunta di una disponibilità intima che diventa determinante. Più inferiore si pone un popolo, più vicino è agli usi prigemi, o comunque contingenze esterne poco pesano su di loro, come nelle tribù artiche; più elevata è una razza, più «ributtata» dal destino. La nuova cultura che si formò nell’America del Nord sulla scorta di semi europei, di­most­ra come una nuova natura porti alla formazione di nuove forme di vita, quantunque create dallo spirito umano. I popoli migranti devono regolarmente prendere una tregua su un suolo stabile, altrimenti diventano sterili come nel caso degli al­ta­men­te dotati Ebrei; devono crescere in stretto contatto con al propria terra, mettere radici per diventarne padroni, anche per assumerne indipendenza e superiorità. Dopo di ché, una nuova migrazione può aver luogo e portare una nuova ripresa.

Non una ma più patrie prigemie sono appannaggio delle razze più sviluppate rispetto a quelle inferiori, hanno vissuto non un’unica giovinezza, ma diverse, non un’unica volta, ma spesso affinato ed unificato il loro sangue. Se una razza si fosse formata da sola, nessuno è in grado di sapere quali livelli av­reb­be potuto raggiungere; ma la ricca natura coltivò una pa­nop­lia di condizioni di vita nel suo stile, senza scopi precipui, pura azione, rimescolò il tutto e lasciò alle razze oltre che la loro promozione, innalzandosi, ma anche il loro declino per mescolanza, per poi, dal Caos, far sorgere nuovi esseri. Per­tan­to, capita bene, la storia della cultura, una storia delle razze, la storia delle opere dell’umanità e del suo sangue.

 

continua

 

Traduzione Bruno Ferrini