Elisarion > opera letteraria > Bibliografia di Eduard von Mayer > L’anima di Tiziano > Il Tiziano, i suoi maestri

L’anima di Tiziano, la psicologia del Rinascimento, capitolo III

ll Tiziano, i suoi maestri

Gli anni di apprendista del Tiziano sono avvolti nel buio, motivo sufficiente per assegnargli origini multiformi. Sicu­ra­men­te ha ripreso i primi colpi di mano da esperti, ma se Zuc­ca­to ha affidato spontaneamente il giovane decenne a Gentile Bellini, non lo ha fatto in quanto scontento di lui: i suoi figli saranno, anche in età avanzata del Tiziano, i suoi migliori amici. Il «putto» come Tiziano, ne parla in uno scritto al Se­na­to, di Zuccato non potè o non volle riprenderne i modi. Se poi si allontanerà da Gen­ti­le per rivolgersi al fratello Giovanni, ciò dimostra che il ragazzo ben sapeva ciò che voleva. Da Gen­tile riprese il corretto disegno dei vestiti, costruzioni, processioni, dipinti belli puliti, ma se il disegno lo dominava, il suo bisogno preponderante fu il colore, che in Gentile non trovava sfogo. Pertanto tornò dal fratello di Giovanni che sorrideva con i suoi colori dalle tele; fu da lui che apprese la mescolanza dei colori, la conduzione del pennello. Il tutto fin circa il 1500, allor­quan­do arrivò a Venezia Leonardo da Vinci. Leonardo influenzò Giorgione, Giorgione il Tiziano che ancora si appoggiò a Palma Vecchio.

Ma se anche gli aggettivi leonardesco, giorgionesco e palmesco vorrebbero dire di più che una intima parentela, per il Tiziano non hanno senso. Una tecnica si lascia trasferire ed apprendere, ma sono una semplice una «scuola» che poco avevano a che fare con la sensibilità interiore, seppur appresa da Leonardo, che comunque possedeva e di cui non aveva bi­sog­no. Se da Leonardo, con il suo senso universale della bel­lez­za, ne riprese, accanto agli arcigni personaggi del Verrocchio (sull’immagine del Battesimo di Cristo), i gentili tratti degli angeli che ricoprì, grazie alla sua sensibilità, di un impianto osseo, muscoli e la tremante pelle e sopratutto di colore: se riprese dal Giorgione molti elementi, li adeguò al proprio sentire.

Questo risuonante piacere per la vita, attenuato da un in­dicibile dolore, questi desideri non realizzati, sguardi fieri ed amareggiati, il martirio di chi credeva conoscere la vita, trovata con difficoltà: tutto quanto misterosamente ammaglia in Gior­gione quale preludio al sentimentale «animo moderno», la composizione trattenuta, l’ambientazione del paesaggio, i tratti caratterizzati dei visi, tutto ciò appartiene al Giorgione.

Ma il Tiziano, che ha del Giorgione? Documentata la loro collaborazione al Fondaco dei Tedeschi dove sostituirono con una decorazione il muro marmorizzato inviso ai tedeschi, ma qui il Giorgione fu predominante. Il Tiziano, allievo di Gior­gio­ne? Il fatto che fossero coetanei, di per sé, non è argomento contrario, ma è atto a creare cautela nel giudizio visto che, ai loro tempi, alcune opere venne assegnate sia all’uno che all’al­tro, testimoniandone una indubbia parentela che però per nulla ne mette in discussione ciò che li differenzia. La natura spon­ta­nea del Tiziano, più ferma e tranquilla di quella del Giorgione. Che Giorgione potesse soffrire per amori disgraziati senza pertanto trovarne sostituto da altre bellezze veneziane, di­mos­tra quanto egli cercasse nella sua vita sentimentale la ris­pon­den­za ad un sacro e olimpico Eros – forse da lui stesso non percepito, con i tempi che non permettevano una tale intro­spe­zione. Altrettanto il Tiziano, anch’egli conobbe al germogliare della sua prossima forza, l’oscillante irrequietezza, l’amaro sconforto anche, temporaneamente, della vita. L’opera che cro­no­lo­gicamente per prima gli venne associata, il «Cristo morto» della scuola San Rocco, potrebbe rappresentarne la confessione – non un Salvatore del Mondo ma un lottatore, intimamente stanco e sconfortato che saluta la morte con un liberatorio «Sia fatta la tua volontà». Questo pessimismo che pensa alla fine, è di un grado più decisivo di quello del Giorgione nel suo «Cristo che porta la croce», sempre ancora in cammino senza vederne la conclusione, inflessibile ma profondamente ferito. Una na­tu­ra che troverà più tardi la forza per inalberarsi, può spazientita presentire un tragico destino che incombe su di lei. Il Tiziano non è Giorgione, che si ripresero esteriormente, nella loro in­ti­ma vicinanza? […]

Il Tiziano non è la somma di Giorgione e Palma, nemmeno in gioventù: quanto vissuto, separato, nei due che ricorda, a dire il vero, una volta l’uno o l’altro. Le due origini hanno influenzato la sua opera, ma dobbiamo convenire che esse non furono mai integrate. La contrapposizione che viveva in lui, i contrasti in cui era il tempo in cui viveva, trova la prima es­pressione in questa coppia di nomi suoi padrini artistici; Palma Vecchio e Giorgione: felice presa di coscienza del cor­po­so presente e affinamento dell’animo fino al doloroso, il piacere per la bellezza e lotta senza speranza contro il fal­li­men­to, il germe del futuro e l’eredità del Medioevo – in quanto l’animo «moderno» che intuiamo in Giorgione, non è originato che dal nostro, il quale non ha ancor oggi, completamente, ab­ban­do­nato il Medioevo.

 

continua

Gentile Bellini, autoritratto, Kupferstichkabinett, Staatliche Museen, Berlino
Giovanni Bellini, autoritratto, Musei Capitolini, Roma
Giorgione, «Pala di Castelfranco» (particolare),
Duomo di Castelfranco
Tiziano, «San Marco in trono»
Basilica di Santa Maria della Salute, Venezia
Palma Vecchio, «Sacra conversazione»,
National Museum, Poznań