L’anima di Tiziano, la psicologia del Rinascimento, capitolo III
ll Tiziano, i suoi maestri
Gli anni di apprendista del Tiziano sono avvolti nel buio, motivo sufficiente per assegnargli origini multiformi. Sicuramente ha ripreso i primi colpi di mano da esperti, ma se Zuccato ha affidato spontaneamente il giovane decenne a Gentile Bellini, non lo ha fatto in quanto scontento di lui: i suoi figli saranno, anche in età avanzata del Tiziano, i suoi migliori amici. Il «putto» come Tiziano, ne parla in uno scritto al Senato, di Zuccato non potè o non volle riprenderne i modi. Se poi si allontanerà da Gentile per rivolgersi al fratello Giovanni, ciò dimostra che il ragazzo ben sapeva ciò che voleva. Da Gentile riprese il corretto disegno dei vestiti, costruzioni, processioni, dipinti belli puliti, ma se il disegno lo dominava, il suo bisogno preponderante fu il colore, che in Gentile non trovava sfogo. Pertanto tornò dal fratello di Giovanni che sorrideva con i suoi colori dalle tele; fu da lui che apprese la mescolanza dei colori, la conduzione del pennello. Il tutto fin circa il 1500, allorquando arrivò a Venezia Leonardo da Vinci. Leonardo influenzò Giorgione, Giorgione il Tiziano che ancora si appoggiò a Palma Vecchio.
Ma se anche gli aggettivi leonardesco, giorgionesco e palmesco vorrebbero dire di più che una intima parentela, per il Tiziano non hanno senso. Una tecnica si lascia trasferire ed apprendere, ma sono una semplice una «scuola» che poco avevano a che fare con la sensibilità interiore, seppur appresa da Leonardo, che comunque possedeva e di cui non aveva bisogno. Se da Leonardo, con il suo senso universale della bellezza, ne riprese, accanto agli arcigni personaggi del Verrocchio (sull’immagine del Battesimo di Cristo), i gentili tratti degli angeli che ricoprì, grazie alla sua sensibilità, di un impianto osseo, muscoli e la tremante pelle e sopratutto di colore: se riprese dal Giorgione molti elementi, li adeguò al proprio sentire.
Questo risuonante piacere per la vita, attenuato da un indicibile dolore, questi desideri non realizzati, sguardi fieri ed amareggiati, il martirio di chi credeva conoscere la vita, trovata con difficoltà: tutto quanto misterosamente ammaglia in Giorgione quale preludio al sentimentale «animo moderno», la composizione trattenuta, l’ambientazione del paesaggio, i tratti caratterizzati dei visi, tutto ciò appartiene al Giorgione.
Ma il Tiziano, che ha del Giorgione? Documentata la loro collaborazione al Fondaco dei Tedeschi dove sostituirono con una decorazione il muro marmorizzato inviso ai tedeschi, ma qui il Giorgione fu predominante. Il Tiziano, allievo di Giorgione? Il fatto che fossero coetanei, di per sé, non è argomento contrario, ma è atto a creare cautela nel giudizio visto che, ai loro tempi, alcune opere venne assegnate sia all’uno che all’altro, testimoniandone una indubbia parentela che però per nulla ne mette in discussione ciò che li differenzia. La natura spontanea del Tiziano, più ferma e tranquilla di quella del Giorgione. Che Giorgione potesse soffrire per amori disgraziati senza pertanto trovarne sostituto da altre bellezze veneziane, dimostra quanto egli cercasse nella sua vita sentimentale la rispondenza ad un sacro e olimpico Eros – forse da lui stesso non percepito, con i tempi che non permettevano una tale introspezione. Altrettanto il Tiziano, anch’egli conobbe al germogliare della sua prossima forza, l’oscillante irrequietezza, l’amaro sconforto anche, temporaneamente, della vita. L’opera che cronologicamente per prima gli venne associata, il «Cristo morto» della scuola San Rocco, potrebbe rappresentarne la confessione – non un Salvatore del Mondo ma un lottatore, intimamente stanco e sconfortato che saluta la morte con un liberatorio «Sia fatta la tua volontà». Questo pessimismo che pensa alla fine, è di un grado più decisivo di quello del Giorgione nel suo «Cristo che porta la croce», sempre ancora in cammino senza vederne la conclusione, inflessibile ma profondamente ferito. Una natura che troverà più tardi la forza per inalberarsi, può spazientita presentire un tragico destino che incombe su di lei. Il Tiziano non è Giorgione, che si ripresero esteriormente, nella loro intima vicinanza? […]
Il Tiziano non è la somma di Giorgione e Palma, nemmeno in gioventù: quanto vissuto, separato, nei due che ricorda, a dire il vero, una volta l’uno o l’altro. Le due origini hanno influenzato la sua opera, ma dobbiamo convenire che esse non furono mai integrate. La contrapposizione che viveva in lui, i contrasti in cui era il tempo in cui viveva, trova la prima espressione in questa coppia di nomi suoi padrini artistici; Palma Vecchio e Giorgione: felice presa di coscienza del corposo presente e affinamento dell’animo fino al doloroso, il piacere per la bellezza e lotta senza speranza contro il fallimento, il germe del futuro e l’eredità del Medioevo – in quanto l’animo «moderno» che intuiamo in Giorgione, non è originato che dal nostro, il quale non ha ancor oggi, completamente, abbandonato il Medioevo.