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La fede borghese III

Dall’espropriazione della volontà, che costituisce la base della filosofia, ha luogo l’effettiva conoscenza della natura, la scienza del divenire dell’uomo. Per esplorare diversamente il mondo, oltre i termini di valore semplicemente in uso a beneficio del gruppo di lavoro, sotto l’egida del vassallaggio, la fame, alcun tempo concesso ai sensi dell’uomo. I sacerdoti non avevano già altrimenti esplorato le forze terrestri e celesti, nemmeno gli stregoni con la loro magia, manco la sapienza artigianale, ma dal momento in cui l’economia era alla ricerca di nuovi canali di acquisizione, lo spirito scientifico è entrato in gioco, senza più temere la fobia della Chiesa nei confronti della natura. L’in­can­tesimo scomparve solo apparentemente, perché era basato sullo stato mentale, che rimase quasi lo stesso.

I risultati miracolosi della tecnologia hanno prodotto l’in­corporazione costante della volontà in due modi: spirituale ed economico.

Da un lato, hanno messo l’intera economia su nuove basi: più vasta divisione del collegamento del lavoro e delle merci – hanno organizzato il dettaglio con i gruppi di ricerca in­fi­ni­ta­mente più forti che mai rispetto al passato – ha guidato più che mai la sostituzione di bisogni la cui soddisfazione divennero abitudini: l’alcool, il tabacco, stimolanti, tensioni nervose at­tra­verso il gioco d’azzardo, la stampa. Teatro, comfort per alleviare il nervosismo nelle mura domestiche di tutti i giorni, tutto ciò che lo rende dipendente dall’aiuto su larga scala. E d’altra parte, questi sorprendenti risultati sono stati con­si­de­rati quale la prova di quanto siano giuste le basi della loro rice­rca, seppur sono cieche e aliene all’individuo.

Appunto: questa base scientifica è – nonostante tutta l’op­posizione della certificazione biblica e della naturale pre­sen­za, capacità di osservazione e cupi –, ma pur sempre nella volontà della Chiesa, allo stesso modo della scienza laica. I devoti sco­lastici sottoposti alle barriere bibliche, ma unica ragione che i suoi sentimenti corrispondano alla nullità di se stesso di fronte a leggi di potenza validi in eterno, che li rende testimonianza della Bibbia; della percezione da ricercatore di oggi, professa la stessa nullità di se stesso di fronte alla validità in eterno di leggi universali – solo che ci trova posto non più nelle scrit­tu­re, ma nella struttura delle forze lavorative. E con la propria ragione, egli dimostra che pure gli scolastici avevano ragione e che nei loro libri la stessa sostanza rappresentava la vera co­nos­cenza sebbene che la lingua era mistica e non «esatta». Nes­su­na ragione! pertanto, di sfidarla …

Entrambi sono accecati dalla stessa mania della fame.

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Certamente per molti ricercatori, la mentalità non era in­di­riz­za­ta all’utilizzo dei risultati della ricerca a favore del settore – anche se le ricerche era meglio lasciarle farle agli spiriti sos­te­nu­ti, come una volta, dall’anima dei sacerdoti cui veniva as­si­cu­ra­to il pane; e i poteri economici dello Stato forniscono loro persino i mezzi con laboratori, biblioteche, accademie, uni­ver­si­tà, spedizioni esplorative. Ma anche in questi ricercatori, lo spirito della fame è il loro consulente.

Si insegna che persone e cose siano obsolete, in virtù della loro portata limitata, valorizzate esclusivamente in termini di potenza nell’elaborazione fisica di materiali, viste come motori e macchine – semplicemente inserite nella maggior struttura, nel sistema mondiale articolato dai percorsi di lavoro.

Inoltre, l’esperienza della carestia ha insegnato ai ri­cer­ca­tori il valore del pane quotidiano nell’ambito del lavoro di mas­sa; vedendo pertanto la mas­sa come un fenomeno di base. Il regolamento della fame aveva mostrato i benefici di leggi fisse, avevano anche organizzato il ricercatore nell’ambito delle dis­posizioni legislative, portando la loro vita ad agire e funzionare che sentendosi protetti dalle leggi – in modo tutto il mondo variegato sia sottoposto a leggi coercitive nei confronti di azio­ni individuali, a favore di obiettivi di massa. L’industria della fame aveva imposto l’indispensabile cautela nei controlli delle scorte, pre-calcolo del costo delle prestazioni; il costo del la­vo­ro determina pertanto in modo sensibile l’utilità delle cose, il valore di ogni merce – così il ricercatore ha trasferito il conteg­gio dei valori e dell’utilità nella ricerca sulla vita, a mera con­tabilità.

Il numero è l’unica categoria della scienza, la grandezza numerica è il suo scopo, poiché la vita la rende utile, diventa un luogo di azione per la volontà espropriata; quindi diventa. da quel momento, comprensibile allo spirito incorporato.

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Il numero, così importante in tutta la massa esteriore e nelle relazioni sottoposte ai trasporti, nulla significa internamente ed intimamente spirituale,41a eppure domina la moderna vi­sio­ne del mondo in molte forme, dal puro punto di vista quale risultato di «esperimento» fino alle «statistiche». Da questo fatto, il profondo materialismo della mente attuale può essere dedotto in tutte le sue inclinazioni monistico-egoistiche; il business della fame occupa e distrugge la libertà dell’anima. La consapevolezza della perdita della volontà per tramite della carestia nella «divisione del lavoro»,deve portare sempre più lontano alla perdita della vita che non sa nulla della crescita interiore.

Questa perdita della vita, questa espropriazione si mani­festa nella scienza, accanto al numero come termine quan­ti­ta­tivo.42

La terminologia, nel senso più generale, sta raccogliendo ragruppandole in parole, fenomeni legati, nomi abbreviati, formule utilitaristiche di messaggi affrettati – rendendosi indispensabile nella vita collettiva dominata dalla fame; sono lo scheletro del linguaggio comune. E ancora: in essi si svol­go­no la formazione dei gruppi e la divisione del lavoro della vita umana, l’incorporazione progressiva, poiché ogni concetto è un confine di gruppo.

Certamente, il linguaggio non può fare a meno del con­cet­to, anzi, il concetto sta in realtà all’inizio storico della lingua, sebbene non sia certamente alla sua origine. Questo è l’impulso dell’anima propria di inviare la propria vibrazione vitale in lontananza, specialmente allo strumento respiratorio attivo, ai polmoni e alla bocca; Fuori da tale auto-proclamazione, nelle contro-chiamate dei partecipanti alla vita, ciò che storicamente si chiama linguaggio sviluppa la comprensione. Poi si scopre che la sensazione non educata, hanno creato espressioni col­let­ti­ve, sotto la spinta alla soddisfazione della fame.

Anche se le singole cose sono sembrate come elementi se­pa­rati, ma l’uguaglianza approssimativa e pari utilità nel breve, la «somiglianza» – abbastanza per molti a caratterizzarle, era come ugualmente utile – lungi da tutta finezza di entità ed effetto; il bambino non pensa in modo diverso: «Papà» è il suo primo adulto, essere vestito maschilmente, «A-a» è tutto per lui quanto scorre – soddisfare le caratteristiche più grossolane, a questo tende questo pensatore in pannolini. E nemmeno altrimenti, l’adulto non apprezza le caratteristiche di «genere», nella grossolana divisione dell’utilità.

Così il pensiero affrettato dell’umanità creato in con­di­zio­ni infantili, unicamente consigliati dalla fame, nel più breve tempo possibile, i primi concetti, solo a metà per essere singole parole, se la portata della vita cresce gradualmente e sono ne­ces­sari nuovi concetti; allora il vecchio termine diventa rela­ti­va­men­te definito, è assegnato a un circolo più ristretto di uti­liz­zo. Così l’abituarsi nella realtà alla vita, dovrebbe per ogni cosa, gradualmente implementare tutti i termini di singoli nomi, nomi propri – nei giochi, il bambino che ha operato le forze umanità più profonde oltre la superficialità della fame, indica nei suoi giochi, si trovano in essa sul nascere, ancora una con l’altra, le future linee di sviluppo Tuttavia, le peripezie della famebilità impediscono una così pacifica e umana in­te­ra­zio­ne con le cose.

In primo luogo manca, nella rigida collocazione al lavoro, tale libero recupero mentale e anche l’inserimento più comp­leto conduce direttamente a nuovi fenomeni collettivi ac­com­pag­nati da invadenti, nuove terminologie. E dal momento che i nuovi concetti si formano in connessione con la sempre più potente imposizione e regolazione della fame, a ricevere un tale e assumono un posto (usurpato) per sempre contrastarne la loro incomprensibilità, almeno lo fanno a giudizio dello sprito del tempo; questo spirito al contrario, tende a riportare i nomi delle cose nel concettuale, generale nella vita pubblica, nella scuola e nella casa.

Questa è la controparte più sottile di questo, sebbene il cui senso è distorto dalla fame, ma radicato nelle profondità dei tempi primordiali: per attribuzione di una denominazione, così chiamata personale, per forzare gli spiriti. E ’come se il divieto biblico fatto ai credenti di Dio, di citarne il nome Javhé – in modo che il piccolo uomo non aquisisca nessun potere su di lui – a poco a poco la lingua ha compiuto, invece, la percezione generale di oggi avvelenandola e così il non-personale fece da supporto al spirituale: la non-personalità, che preme per il dominio dei concetti vuoti, era già valida nella sfera ebraica della vita. Blasfemo-criminale-rivoluzionario il nome «Padre nostro che sei nei cieli» dev’essere risuonato a chi era devoto al Sinai – in questo rapporto quasi rincuorante, è stato superato il regno del terrore dell’ineffabile Signore. «Il nome non è né suono né fumo», nonostante Goethe, nella sua epoca spi­no­zia­na, lo affermasse con Faust, impoverito e senza vita.43

Si può dire in modo sicuro e senza esagerazione: le es­ter­na­zio­ni e le espressioni di genuino sentimento, che emanano direttamente all’esuberanza delle persone da Auto o doppio linguaggio del sentimento, in realtà avrebbero caratteri in­di­vi­dua­li per ogni singolo scambio tra l’uomo e gli altri esseri sono – nomi propri. Tuttavia, attraverso l’incorporazione della fame, diventano formule e numeri rigidi; e Leibniz, i fanatici di «ar­mo­nia prestabilita» (Sistema di Louis XIV), sognava di ri­dur­re la conoscenza a semplici formule matematiche.

Alla sorgente della lingua c’è la sensazione della propria esperienza, e la sua dimensione chiamerebbe di puro en­tu­sias­mo, i nomi; Da questo, la fame ne fa in termini riduttivi, che meri concetti. Quindi il termine diventa la fatalità del lin­guag­gio.43a

Certamente! il termine, breve descrizione di molti feno­me­ni, asse centrale di molte tendenze, può essere un’arma contro il lavoro goffo per costituzione, per le menti disposte ad essere volitive e chiare. Sì! contro l’imbruttimneto dello spirito e dell’ atteggamento al lavoro e la sua moralitàe rimane, tagliente, una decisa elaborazione dei concetti espressi da vocaboli, la più fine disanima delle parole rappresentanti valori concettuali, la più chiara riprova e la verifica dei valori delle parole, oggi uno strumento indispensabile – ma da usare solo per chi vuole acutamente guardare nella confusione delle cose e in realtà non superficialmente di massa delle cose, piuttosto contro questa sciabolazione della vita – unicamente cercando di cogliere le grandi correnti della natura.

Per chi non è a conoscenza maturata quale essere in pro­prio, i termini significano l’indurimento delle arterie dello spirito, il crescente ritorno di vitalità spirituale per le scienze umane e la parsimonia di vita – l’invecchiamento ed il rim­bam­bi­mento, proprio come il nostro futuro stato proletario ci ri­por­ta alla prima famiglia dominata dalla fame.

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In una tale sensazione di invecchiamento, lo spirito vive non solo della scolastica, da Socrate fino ad oggi – anche il modo di pensare naturalista è altrettanto rigido e riduttivo.

Cioè, ovviamente scolastico di tutti i termini, i sentimenti comuni, si riavvolgono alla diversità della vita, lascia alla ra­gio­ne fa dipendere il generale – anche se questo dipende dalla ricchezza individuale dell’esistenza di ogni singolo; tuttavia si sforza per la stessa generalizzazione, perché è solo in grado di comprendere le cose nella misura in cui le rende dipendenti dalla generalità.

A fronte dei suo matracci, lambicchi, vetri e occhiali la­bo­ra­le, applica fin dall'inizio, il pregiudizio del suo approccio a comune sensibilità e fornisce agli strumenti di conoscenza unicamente quanto sia atto a rispondere questioni di pubblica richiesta: per dare il via a formulazioni generiche. Non i singoli collegamenti, l’incastro delle singole forze nei loro scambi, che vede e che vuole vedere – ma dimostrare co-schiavitùm è il suo unico senso costante della ricerca. Per impostare le formule, come il loro «caso individuale» obbediente si applica agli even­ti individuali vitali. L’esplorazione, pertanto, l’immensa ric­chez­za di fatti diligentemente raccolti nella natura, solo un sacco di mezzi fatti, appunto – materia prima per futuro po­te­re, senza bustarelle, della conoscenza.

Naturalisti – (ed economisti, vi appartengono cercatori culturali) – sono così completamente espropriati nella volontà e inclusi nel sistema comune, che essi manco sollevano la ques­tione dell’essenza, del significato e il valore della persona. Per loro è sufficiente intravvedere le condizioni di lavoro in cui si svolgono i servizi individuali.

Sarebbe estremamente utile ed è indubbiamente ap­pli­ca­bi­le. Ma i ricercatori ritengono di aver esplorato completamente il tutto, ma ha solo strettamente superato comuni test di usa­bi­li­tà, ed è infatti previsto solo sul lavoro in quanto dipendente dalla fame, nulla per quanto riguarda i poteri creativi dell’in­di­vi­duo. La più recente formula della scienza è quindi: concepire le cose solo come valori di prestazioni («funzioni»), non come esseri («sostanze»).44

Non sarebbe un problema, se i ricercatori dicessero che con ciò sono solo una parte e un ritaglio dell’essere. Ma in barba ad ogni senso della realtà, nonostante abbiano la pretesa di farne doverosamente parte –, sono così scolastici che pos­so­no assegnare valore ad un’entità solo se può essere catturata nel concetto e nella formula. Quando il termine, acquisito nella stretta comune esperienza di lavoro della fame – quando la formula, creata per soddisfare il bene comune del lavoro di fame, non raggiunge una sua esprimibilità, in quanto più ricca e infatti più completa, più profonda: allora il naturalista spiega questo per essere indimostrabile, senza valore, per cui ne nega l’esistenza. Il termine (e le relative istruzioni per l’uso che la formulano) si rivela in modo genuinamente scolastico, anche per certificare la sua volontà indebolita nella sua ottusità spirituale.

* * *

Così, nonostante la scolastica dei sentimenti, le sommamente lodate «leggi del pensiero» a cui tutti gli scolastici si ri­fe­ris­co­no irrigidendosi, ma ora maltrattato – vengono abdicate non appena si verificano conseguenze negative per la comunità.

Il ricercatore è soddisfatto se ogni singolo beneficio è stato fatto chiamandolo o decretandolo a «legge»; è rassicurato non appena la cosa individuale è diventata il mero rappresentante della specie, è stata marchiata per il pubblico in generale ed è quindi eliminata. E così il ricercatore – i cui occhi poggiano solo sulla realtà – trascura quanto poco le conseguenze della sua scarsa struttura dell’esistenza coincidano con quelle della vita reale.

Com’è nella vita lavorativa pubblica?

I regolamenti sul lavoro regolano ogni singola prestazione con l’alto livello di approvazione ufficiale.

L’individuo funziona così in modo omogeneo, ugualmente bene.

Ma ogni singola apparenza dell’esistenza si ripete ugual­men­te allo stesso modo, a parità dello stesso stato di forza.

E quindi il ricercatore vede in tutti gli eventi solo le de­ter­mi­nazioni obbligatorie, come se l’esistenza fosse un unico stato di polizia di assoggettati vassalli lavorativi. Egli chiama «leg­ge» naturale – in cieco antropomorfismo del cittadino lavo­ra­to­re, influenzato della vecchia credenza nei fantasmi («atavi­ci»). Ma non vede affatto come i singoli individui si ribellano contro la maggior parte delle leggi, le invalidano e lo spogliano della loro efficacia.44a

Ha, nonostante tutti gli occhiali e l’aiuto di lenti, esa­mi­na­to la vita e non vede la lotta per l’esistenza di ogni singolo essere contro il pubblico – espropriato della propria volontà sarà, ma sottoposto al sentire del pubblico in generale. Non si chiede: come una, a seguito dei suoi sentimenti comuni, «vana» cosa, l’individuo, è calafatato contro le disposizioni di onnipotenza – come ad esempio un «elettrone» inconsistente o «Atom», un «gruppo di proteine» o di una mera apparenza possa modificare gli scambi di energia in quanto il proprio potere può essere misurabile. E non solo l’uomo fa questo nella sua aspirante volontà, ogni pianta già lo fa, che solleva la linfa contro la legge di onnipotenza della gravità.

Lo scienziato naturale «rigoroso» non conosce la regola fondamentale di ogni cognizione: «nessun effetto senza causa corrispondente», altrimenti dovrebbe riconoscere nella for­mazione individuale nel mezzo dello spazio, come nell’azione individuale nel mezzo di contro-sforzi, i centri intrinseci della forza, i poteri della propria. Ma può, espropriato, non valutare i suoi poteri; non riesce a cogliere l’aumento dell’esistenza nella struttura lavorativa che gli attribuisce il suo con­se­gui­men­to – così non può capire altro che le necessità bisognose, il triplice arresto della forza eternamente non ristretta, la natura eterna che limita la vita, le leggi mondiali che rafforzano per sempre il potere Non sospetta nemmeno minimamente le la­cu­ne originali e basilari della sua conoscenza.45

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Può sembrare a prima vista così, come se i preamboli del pas­sato tempo mentale, il «miracolo», si affrontassero ge­ne­ri­ca­men­te contro il nuovo modo di pensare indicato dal nuovo termine, quello di «legge».

Ma visto, addentrandoci più strettamente che in natura la mente ha integrato il vecchio preambolo, il miracolo in termini di ritardi, rotture o revoca delle leggi cui sono sottoposti i pro­cessi è altrettanto valido, anche se ciò non sarà anche mai am­messo.

L’uomo primitivo si sentiva la sua vita guidata da spiriti e divinità, formato secondo la maniera personale di vedere nell’ immediato altre cose; l’arbitrarietà era la costituzione mon­dia­le, come in ogni stato dispotico.

Più tardi, quando regolamenti ambientali fissi divennero necessari, anche l’ambiente sebrava destinato ad avere le sue regole, valide e solide al fine di stabilizzarne suoi abitanti; e solo in particolari, rari casi si continuava a parlare dell’e­ser­ci­zio di poteri personali, ciascuni intervenuti, più potenti dell’or­dine medio. E queste, le procedure da indurre stupore, erano simili ai «miracoli» quali ultimi diritti sovrani dei celesti, come il diritto di veto di perdono dei governanti di oggi.

Infine, tali interventi miracolosi – chiamati «giochi» di natura nel periodo di transizione – furono semplicemente eliminati nel senso della massa; visto che possono accadere solo legalmente lo stesso, in modo continuo. «Nessuna ec­ce­zio­ne senza legge», è il gioco di parole della scienza.

Ma le «eterne», «implacabili», leggi «immutabili» della natura, cui nulla può resistere, hanno costantemente visto negarsi la loro natura e visto ignorare la loro violenza. «Per sempre» era la «legge» della fecondazione vegetale, ma prima che ci fossero le piante da allora è rimasto irrealizzato questa legge nel galleggiante vuoto; «Eterne» la voce «leggi», ma prima si parlasse di persone, erano violate da non conformità. E se le leggi sono attualmente in vigore, è sufficiente che nuovi Stati sopravvengano e semplicemente nuovi eventi: consentono a non badare alle leggi precedenti: le creature non si preo­cu­pa­no per la maggior parte delle «leggi» riguardanti la materia inanimata.46 Così distruggono e rompono con le loro azioni, così, con la loro inerzia, le cose ostacolano il potere delle leggi della natura; ecco come funzionano i «miracoli». E solo at­tra­ver­so il riconoscimento dei «miracoli» nel vecchio senso della magia della natura, di legge-fede bilanciano la contraddizione con la realtà – anche se in divulgazione dei dogmi più sacri.

Accattivante tutta la conoscenza, la credenza detiene la sua impressionante influenza in questa natura, nei suoi misteri detti al suono di parola straniere, nella loro magia, segni di formule matematiche per l’istinto di massa – all’uopo di pa­ra­liz­zare qualsiasi volontà personale, logorandola con la fatica del vassallaggio, attraverso apertamengte e subdole pressioni sulla massa per tenere segretamente soggiogato al veleno della calibrazione di meri valori comuni, prestigio e denaro con vuote anestetizzanti parole.

Dopo l’invidia, desiderio di coloro, schiavizzati dalla il­lu­sio­ne della fame, e intonacati solo nella regolazione ali­men­ta­re, con armoniose campane professano i valori della vita che gli individui in quanto singoli mai vedranno; e perciò è solen­ne­men­te smentito da tutte e quattro le facoltà (teologia, legge, medicina, filosofia).

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Oltre al numero, il termine, la formula – che sono tutti e tre uniti nella «legge naturale» – in aggiunta a queste basi spiri­tua­li della visione del mondo «scientifico» di oggi, la vita e la fede nella macchina risulta essere un segno di vittoria pe­net­rato dallo spirito della fame.

Il primo strumento del futuro uomo fu raggiunto come magia,47 per allontanare gli spettri dalla fame; poi è diventato lo strumento in un’arma di artigianato e insegnato al popolo attraverso il lavoro, la produzione di beni di scambio, per ottenere le cose non commestibili come rocce, minerali, legno, le fantasie, cuoio, i valori di cibo per sé e la sua famiglia – ha evocato il pane dalle pietre!

Così lo strumento ha gradualmente liberato l’uomo dal campo e, nella massa della crescita umana, ha portato al com­mer­cio urbano su larga scala; questo è veramente anche un tutto «sindacale», un tutto-macchina si basa e rafforza sullo sviluppo del vecchio dispositivo saggiamente manovrato manu­al­mente, per giungere alle apparecchiature strumenti su larga scala e di grandi dimensioni. Questo è il motore alimentato unicamente dalla forza – se questa forza di azionamento è ora animale o movimento muscolare umano, l’acqua in cascata, vapore o elettricità. L’individuo che gestisce la macchina, di­ret­ta­mente o indirettamente (o anche a proprio uso e consumo!) sta gradualmente diventando la ruota di un meccanismo più generale, la più piccola parte sindacale48 in quanto tale, di stima e degno di offerta al pubblico per nutrizione, educazione, insegnamento, alla fin fine per costi di produzione e manu­ten­zio­ne! Ma ne ha pagato i costi, restituendoli ai lavori pubblici, alla macchina sociale, come operaio. Il lavoro è misurato dal suo valore, perché l’intera vita appare come un lavoro.

Il sindacato («Macchina»), ha istituito il più lungo, l’esc­lusivo sul commerciale, acquisto e trasporto, la sua bril­lan­tez­za è la prova e la più convincente pubblicità della fede nella Scienza.

Frutto dell’interazione di gente comune e che lavora alla ricerca del pane quotidiano e del lavoro e la realtà amal­ga­ma­ta-es­pro­priata – indispensabile perché le richieste della con­cor­renza della fame provoca il maggior sfruttamento di ogni forza di azionamento – gratificante perché le prestazioni di massa permettono anche la distribuzione di massa – la «Mac­chi­na» deve accudire la ricerca degli utenti, l’allevamento al senso economia monetaria, aggiungere ognuno saldamente nel controllo della propria fame, improimere nella memoria di ognuno i limiti della fame nella propria vita, deve inculcare costantemente come inutile, dirompente, fastidioso, costoso, l’»inutile»volontà individuale del singolo privo di personalità giuridica.

Gli errori malvagiamente pacchiani dello spirito macchina non li vede, non riconosce la vera forza operativa: sentisse il desiderio della volontà individuale quale un modo più elevato di vita nella fede, l’amore e l’arte veramente, è stato contenuto tra il pane e le feci come poli dell’esistenza – così gli individui rinuncerebbero presto agli sforzi del vassallaggio della fame e tutte le macchine non si sarebbero presto immobilizzate, fer­mate. Ogni potere è sostenuto solo dal potere che lo ha reso pos­si­bile; prestazioni umane, anche nella sua degenerazione ancora un frutto dello spirito umano, a lungo termine dovrebbe scendere fino quelle comparabili all’animale allo stato ori­gi­na­le, se la propria volontà in quanto creazione di valori, la vita intellettuale alla base, in realtà sarebbe concellata; l’umanità non costituirebbe una macchina espressione di nobile talento animale, ma in mezzo ad arrugginite macerie delle mac­chi­ne precedenti, un banalmente smussato animale dotato di due mani. Dal non riconoscimento di questa situazione primitiva, già arrivano i mali della nostra civiltà della mac­chi­na che ha raggiunto prossimamente il limite di esplosione della propria capacità – ben compreso non il limite di potenza delle mac­chi­ne, ma lo schiacciante vassallaggio della volontà umana.

Il principale sindacato, la cultura della»macchina», ha finalmente realizzato ciò che la scienza chiesastica stava cer­can­do: la volontà d’imbavagliare a tutti la propria autonoma volontà con l’onnipotenza di convincenti leggi di massa. La scolastica era un lavoro intellettuale: il mestiere della mac­chi­na è scolastica trasformata in acciaio.

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In questo spirito sindacale, si costruisce l’intera visione del mondo «scientifico» di oggi.

Di scarsa importanza sono le differenze, se si vuol ri­co­nos­ce l’ordine mondiale fatto di atomi non bilanciati da alcuna resistenza del vortice prigemio o invece «energetica» com­pen­sa­zio­ne del deflusso del potere primordiale o nello Spirito Uni­co, che scorre fuori da tutte le cose individuali come scintille e si ritira di nuovo, o invece anche sperimentato come semplici sogni. La società, come una vera e propria creatura composta unicamente da leggi della natura, che la particolare struttura vede in una marcia non sostanziale – altri, per vedere il fun­zio­na­men­to di leggi superiori mentali che sono appena tes­ti­mo­nia­te nei sentimenti generali della costrizione morale, che ri­chiedono alla gente il dominio delle leggi della materia o delle forze. Sia che condividono la fede nella materia di Büchner, la fede della perdita di energia di Ostwald, i costumi di fede di ognuno – massima validità ha il diritto sindacale, la costrizione che abbraccia il mondo per l’esistenza collettiva.

Non dovrebbe sorprenderci che questa dediti alla scienza si accusino vicendevolmente di arbitrarietà ed irrazionalità. I loro insegnamenti non sono irrazionalità «assolute», ma vas­sal­laggio alla fame in una delirante immaturità relativa e anche l’invecchiamento nelle ristrettezza della mente che si assume ogni forme specifiche e, naturalmente messi alle strette, che considerano la loro, come ultima recinzione fatta di assi di leg­no. E non è arbitrarietà, ma il necessario aggiustamento sarà attività in proprio all’insegna della fame, nel circuito più pros­si­mo simile ad esistenza; così, sono semplici varietà emotive e professionali, mere differenze «confessionali», in una unica Chiesa all’insegna del tutt’uno, l’inimicizia dei vari monisti. Vi ci sono dentro, uniti:

che il mondo a causa della somma del valore sempre cos­tan­te e, quindi, l’individuo non può mai permettersi un valore crescente;

che tutti obbediscono all’eterno senza legge e quindi l’in­di­vi­duo non deve mai cercare un nuovo ordine;

che la specie, la razza e l’ereditarietà sono la vita eterna, contenuti eterni della vita e quindi l’individuo deve servire solo alla conservazione della specie senza mai ottenere, attraverso l’auto-sviluppo, forme di vita superiori.

L’altezza assoluta della vita giace, dopo di loro, nel passato eterno primordiale. Il passato è il loro dio, anche se parlano di «sviluppo»; per, in quanto significa che le forme di vita sono così eternamente compiute in monotonia primordiale e, nelle materie prime, secondo loro, ciechi nel mondo, (atomi, elet­tro­ni o punti apparenti) un nuovo divenire è effettivamente im­pos­si­bile.

Sviluppo ha solo vero significato e valore nell’in­se­gui­men­to individuale e individuali, rivolto al futuro stato della Na­tu­ra.49 Ma questo può non possono riflettere i ricercatori di oggi, nonostante Darwin e Haeckel.50

Quanto pastori ebrei del deserto hanno sentito, insegnato dalla Chiesa – la stessa predicazione avviene nel segno di gran­di imprese, gran­di commerci e grandi traffici, nella struttura di massa dell’unità di fede della scienza: la nullità di ogni in­di­vi­duo, a fronte della legge universale. Questa è l’immagine dell’a­nima del mondo, come costrizione.

* * *

Il mondo come stato d’animo vedeva le persone, purché la loro volontà individuale fosse non regolata dalla fame, per­so­nal­men­te e senza freni – come costrizione le vede l’uomo, dal mo­mento che le sue forze occorrono che nelle operazioni di fame incorporate dal comune vassallaggio. Tuttavia, in un modo o nell’altro, lo spirito della fame indica di vedere il mondo come un fatale destino.

Pilastri della società

 

Traduzione Bruno Ferrini

I labirinti dello spirito

Indice

 Prefazione

 Introduzione

L’immagine monistica del mondo:
il mondo quale stato d'animo

IIl pensiero della giungla

IIIl pensiero contadino

IIIL’inizio della mania idolatra

IVLa fede olimpica dei signori

VLa fede del Sinai

Perché Cristo divenne Gesù?

Il pericolo della razza

La visione del mondo legalistica:
il mondo come costrizione

VILa fede borghese I

VIILa fede borghese II

VIIILa fede borghese III

IXPilastri della società

Il mistero della fame

La visione individualistica del Mondo
Il mondo come sfida

XCriminali

XILa contraffazione della vita

XIIPaolo

XIIINietzsche ed io

 

I labirinti dello spirito PDF (tedesco)

Gottfried Wilhelm Leibniz,
Ritratto di Christoph Bernhard Francke, 1695,
Herzog Anton Ulrich Museum, Braunschweig

Gottfried Wilhelm Leibniz fu un filosofo tedesco, matematico, diplomatico, storico e consigliere politico del primo Illuminismo. È considerato lo spirito universale del suo tempo ed è stato uno dei più importanti filosofi del suo tempo, nonché uno dei più importanti precursori del pensiero illuminista.

Nel 1672 Leibniz viaggiò a Parigi come diplomatico della Casato di Hannover. Lì presentò al «Re Sole» Luigi XIV un piano per una campagna di conquista crociata contro l’Egitto per dissuadere quest'ul­timo dalla prevista guerra di conquista in Europa. Il re ha respinto questo piano; più di cento anni dopo, però, Napoleone Bonaparte lo realizzerà nella campagna d’Egitto.

Leibniz sviluppò una calcolatrice con rullo scaglionante per i quattro aritmetici di base, la presentò davanti alla Royal Society di Londra e divenne un membro straniero di questa famosa società accademica. Il sistema numerico binario sviluppato da Leibniz ha posto le basi per la tecnologia dell’informazione assistita da computer.

Georg Büchner
Wilhem Ostwald

Georg Büchner era un medico e scienziato tedesco, scrittore rivoluzionario e dotato. Nonostante la sua stretta attività letteraria – è morto all’età di 23 anni – è con­si­de­ra­to una delle più importanti figure letterarie tedesche del Vormärz.

Partecipò al volantinaggio del «Der Hessische Landbote» con il grido di battaglia: «Pace alle capanne! Guerra ai palazzi!»

Büchner presentò la sua tesi «Mémoire sur le système nerveux du barbeau» nel 1836 presso la Facoltà di Filo­sofia dell’Università di Zurigo e gli fu riconosciuto in absentia  il titolo di Dottore in Filosofia. Il 18 ottobre 1836 si trasferì a Zurigo, a causa della sua anonima col­la­bo­ra­zio­ne al giornale Hessischer Landbote, le autorità dell’Assia avendola invisa ritenendola politicamente sobillante e dichiarandolo, dopo averlo identificato grazie ad una delazione, come ricercato dalla polizia. Il 5 novembre 1836 Büchner tenne la sua lezione di prova sui nervi cranici e fu nominato docente privato.

Come un dei poeti del Vormärz, Büchner è un autore politicamente critico e avversario della irrealistica poesia romantica. Nelle sue opere, si occupa anche di persone dilaniate tra visioni contrapposte e non in grado di prendere decisioni coerenti. Il personaggio principale di Woyzeck, ad esempio, appartiene allo strato sociale più basso, un insolito ambiente. Soprattutto disegnato esattamente, il lato psicologico dei suoi personaggi.

 

Wilhelm Ostwald fu un chimico e filosofo tedesco-baltico. È considerato uno dei fondatori della chimica fisica e ha insegnato all’Università di Lipsia. Nel 1909, Ostwald ricevette il Premio Nobel per la chimica per il suo lavoro sulla catalisi e i suoi studi sugli equilibri chimici e sulle velocità delle reazioni chimiche. Inoltre, ha anche lavorato in ambito filosofico. Ha sostenuto che la materia è solo una par­ti­co­la­re mani­fes­ta­zio­ne di energia che sarebbe da considerarsi come primaria. Ostwald ha descritto la sua filosofia come ener­ge­tica. È emersa, da un lato, come una reazione all’ipotesi atomica meccanicamente intesa e dall’altro come conc­lu­sio­ne delle proprie ricerche. Ostwald era apparso in pre­ce­denza come critico del concetto di atomo, che voleva sostituire con la sua energetica, sebbene come chimico avesse costantemente fatto uso del concetto atomico.