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L'Eco di Locarno, 22 gennaio 1955, cronaca di Locarno e dintorni

Il sogno di Elisarion

Elisarion, alias signor von Kupffer, nato baltico nel 1872, morto ticinese nel 1942, pochissimi certo lo conoscono.

Non è un gran guaio, anche se la sua opera, sotto certi aspetti, merita di essere  considerata, nell’ambito di quello pittura che «tout court» venne definita floreale.

Elisarion ci ha lasciato un’opera unica al mondo. Una pinacoteca in cui sono esposti, in un’ininterrotta fila di stanze, centinaia di prodotti, da minimi disegni a enormi pannelli riproducenti un mondo mezzo ellenistico mezzo prearaffaelita che agli indigeni in vena di svago potrebbero concedere, se non altro, una splendida occasione d’ilarità.

A dire il vero il «Sanctuarium Artis Elisarion» (così denominato dal fondatore) è oggi quasi sempre deserto.

Lo amministra un amico dell’artista, una specie di solerte sagrestano sempre indaffarato a ripulire i viali che attorniano la villa, la domenica soprattutto, scandalizzando così vecchi pensionati che dai sobborgo minusiense si recano alla messa in città.

Elisarion, – exemplar Yperion, forse – appioppò a Eliso la opportuna desinenza, arrangiò a sua casa-pinacoteca secondo gli schemi d’una piccola basilica, contaminandola nel più bizzarro dei modi con l’aggiunto di peristili, di serre, di colonnine.

Ma procediamo con ordine. Varcato il portone, e fatto un paio di scale, si entra in una  sala che il catalogo definisce «aula». Quadretti, per lo più nudi, tra gli altri, persino un «odalisca». L’«aula» immette nel «Coro». In un angolo un piccolo organo – sul leggio, un foglio miniato – di nuovo, nudi sacri e profani, compiacentemente rivolti con rosee natiche verso il visitatore.

Poi, procedendo, eccoci nel così detto «Ponte mortuario», una minuscola cripta, nella quale spicca il candidissimo busto dell'artista. Naso affilato, occhi singolarmente incavati.

Mentre vi date d'attorno per cercare l’urna che raccoglie le ceneri dell’artista, di scatto la guida ha fatto scorrere una tenda azzurra.

Di là è la vasta «Rotonda», il «Pantheon» dell’immaginoso Elisarion. La luce piove dall’alto attraverso le vetrate e illumina tutt’intorno una serie di pitture, che il catalogo così appassionatamente – per quanto concerne la tecnica usata – descrive.

«Il grande quadro monumentale era stato ideato come affresco murale. Ma poiché l'opera fu intrapresa da Elisarion affine di realizzare un ideale e non dietro ordinazione, il muro occorrente non esisteva, l’artista allora vi seppe supplire con una nuova tecnica di sua intuizione: dipinse su tela a gesso con colori a resina «a secco» cosicché lo strato sottilissimo dei colori permette alla luce di penetrare fino al fondo bianco e di esserne riverberata, dando l'effetto di immateriale trasparenza, congrua alla visione artistica. Le singole parti furono eseguite in una stanza piccolissima e bassa. Per ciò l’ingegno artistico e la tenacia del carattere nel compimento di questa opera sono più evidenti».

Al diavolo la tecnica, chissà per chi peregrina, a noi interessa in questa buffa «pitturascope», scoprire, come dentro una grotta, il significato pseudo-orfico dell’oggetto. Che è, s’intende, la rappresentazione dell'Eliso, secondo la mente d'un esteta più che raffinato, lezioso. Varie decine di nudi efebi danzanti in prati smaltati d'ogni sorta di fiori, con vago sfondo di montagnucole e di palmizi.

Nudi, a guardar bene, singolari. Che non perturberebbero neppure una educanda. E «of course» che i corpi variamente assommano le caratteristiche dei due sessi, pallidi  ermafroditi muniti di strani cinti erniali, o di elastici subito sotto i ginocchi.

I giochi a cui si abbandonano i giovanetti sono variamente interessanti. Chi gioca a rincorrersi, chi insofferente di solitudine, addirittura si abbandona cavalcioni su un compagno supino a mezz’aria in un'amaca.

– Botticelli e Beato Angelico! – dice il custode senza batter ciglio – Elisarion fu davvero un eclettico! –

Il tempo di considerare alcune grosse farfalle dipinte maliziosamente sopra le natiche di giovanetti prostrati nell’erba, il custode già ci porge il grosso libro dei visitatori perché ci apponiamo la firma. Fatto. Ci sono nomi d’insospettate, bravissime persone, uomini di Stato, critici d'arte, ecc.

– E George; – diciamo – E’ venuto a trovavi George? – Ricordiamo. Il poeta di Bellarmin non abitava lontano, al «Mulino dell'Orso».

– No! – dice il custode – Due o tre volte sostò dinnanzi al cancello del Santuario. Elisarion si fece scrupolo d’invitarlo. Rifiutò. C’era qualcosa che non gli andava. George era orgoglioso. Venne invece, quasi di nascosto, un suo amico. –

Il Santuario di Elisarion venendo a mancare l'attuale custode (intimo discepolo dell'artista) passerà allo Stato. E' probabile allora che il prezzo d’entrata verrà ribassato. Ci condurranno, in comitiva, le scuole.

Giovanni Bonalumi

 

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Sul letto di morte (autoritratto), 1940
Annuncio funebre